ROMA – Per i collettivi non c’è “nessun governo amico”, della serie lo stato si abbatte non si combatte. A destra invece sono pronti ad appoggiare qualsiasi partito che approvi le loro proposte. Destra o sinistra, che importa. Anti-fascisti fino al midollo i primi, dichiaratamente fascisti e innamorati dello squadrismo i secondi, in comune rossi e neri hanno che si muovono nello spazio e nella società con gli stessi intenti rivoluzionari. E che sono giovani, liceali o universitari. Per il resto sono antagonisti. I primi combattono i fascisti, i secondi rivendicano il loro diritto di dirsi tali. Opposti che si affrontano e si provocano. Il campo di battaglia è la scuola e l’università. Ognuno a suo modo, si schiera dalla parte di chi ha bisogno, lanciano campagne e si muovono sul territorio. Poi, anche se da entrambe i fronti giurano di non essere loro i violenti, quando si incontrano succede spesso che finiscano alle mani. Bottiglie spaccate in testa, spedizioni punitive e scontri tra studenti armati di caschi.
Davide, capelli rasati ma più lunghi sulla fronte, ammette che la sinistra universitaria è un po’ in crisi. Lui, classe ’86, studia Lettere, lavora come sportellista con un contratto a progetto per cui è pagato 6 euro l’ora. Abita da solo ma per 7 anni ha dormito in un palazzo occupato in Via Napoleone III, nel quartiere cinese di Roma. Porta una maglietta arancione con su scritto Zetazeroalfa, band di riferimento, parla a voce bassa e sceglie le parole con cura. Davide Di Stefano è fascista. Anzi, un fascista del terzo millennio, dice. I “camerati” l’hanno fatto responsabile nazionale del Blocco studentesco, movimento universitario presente in 45 città e firmato CasaPound.
Pochi messaggi, un unico alfabeto e un solo referente. Blocco è il movimento studentesco più conosciuto d’Italia. L’“ordine” è la loro arma. Un po’ quello che manca agli studenti di sinistra spesso accusati di aver dimenticato cosa significhi militanza. A Roma i manifesti bianchi e neri, con il fulmine cerchiato (“Il simbolo dell’energia in un cerchio che rappresenta la comunità”), sono ovunque. Per le strade, sui muri, nei parchi. Le stanze dei “neri” però sono sempre limpide e i manifesti sono tendenzialmente privi di colore. Sobri, anche troppo. La stella a cinque punte che in una versione o nell’altra accomuna tutti i collettivi di sinistra per le strade delle città si vede poco. Si trova piuttosto vicino alle università, nei centri sociali e nelle aulette autogestite imbrattate da cima a fondo con manifesti e slogan o appiccicata sulle sedie usate per fare riunione una volta a settimana (salvo urgenze) e sempre sparse qui e là.
Davide ha sposato “ciò che di buono c’era dell’epoca di Mussolini”. In sostanza, oltre a marciare in fila con regolarità e a scambiarsi l’antico saluto romano per fratellanza (si stringono l’avambraccio), lui e i camerati difendono, tra gli altri, il concetto di mutuo sociale secondo il quale l’emergenza abitativa finirà solo quando saremo tutti proprietari di una casa. Crede nella patria unita (“Vogliamo una patria sola. Che vada dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. E che comprenda la Dalmazia, l’Istria e Fiume”), celebra il Risorgimento e non la Resistenza (uno dei leader di Blocco Studentesco, Francesco Polacchi, durante la campagna per le elezioni universitarie: «Quelli che ci attaccano sono infami come i loro nonni partigiani, il nostro cammino sarà la loro distruzione, perché siamo noi il futuro»).
Sulla sponda opposta Luciano, studente del Sud arrivato a Roma da qualche anno, e indicato come uno dei leader dei collettivi di sinistra. Ogni volta che «quelli di estrema destra minacciano», i rossi come lui rispondono a tono finché poi non finiscono per lanciarsi sedie e tavolini. I collettivi danno la colpa agli ‘altri’ e gli ‘altri’ danno la colpa a quelli come Luciano per i quali quelli di Blocco studentesco non dovrebbero esistere. «Sono anticostituzionali», urlano dalle piazze. L’antifascismo militante è la loro ragion d’essere, ciò che li spinge al combattimento. Ecco perché due anni fa Luciano, 26 anni, occhi azzurri e orecchino, aveva chiesto che l’università ponesse la pregiudiziale che “Blocco è anticostituzionale” e non può partecipare alle elezioni studentesche. Che poi, invece, il 12 e 13 maggio di due anni fa sono stati proprio i “fascisti” a vincere la partita decisiva. Tant’è vero che oggi, in buona parte delle scuole e degli Atenei d’Italia, comandano loro.
Perché? A sinistra ci sono troppe realtà. A destra c’è sostanzialmente solo Blocco studentesco anche se nell’ombra si muove il Foro753, uno dei primi centri sociali di destra a Roma ed in Italia, Azione giovani (ex Alleanza nazionale) da poco riconvertita in Giovane Italia presieduta dal ministro Meloni. Poi c’è anche il Popolo di Roma. A sinistra, invece, i collettivi, le reti ed i coordinamenti non si contano. C’è la Run (Rete universitaria nazionale), Link (Coordinamento universitario) capeggiato da Claudio Riccio, il Coordinamento dei collettivi della Sapienza sponsorizzato da Fabiola Correale, ci sono Giorgio Sestili di Atenei in rivolta e Luca Cafagna, entrambi riconosciuti leader universitari forse più dalla destra che dalla sinistra, e infine anche la new entry Unicom(mon), ultima invenzione, che a La Sapienza pare se la comandi. Mica è finita. A questi tocca aggiungere le altre migliaia di micro collettivi che si muovono indipendenti l’uno dall’altro. Un po’ come accade per la sinistra al governo. Anche nelle università, i rossi cambiano leader e sigle troppo spesso. Sono talmente tanti da non capirci più niente.
In minoranza o no, i ‘compagni’ (si chiamano ancora così) hanno una linea unica: combattono ogni forma di revisionismo e non ci pensano nemmeno a parlare di patria senza mettere in mezzo anche i partigiani. Sono per l’apertura delle frontiere mentre gli antagonisti si dichiarano «non xenofobi ma decisi a favorire gli italiani». Durante le riunioni in ‘auletta’ i membri del collettivo si siedono tutti intorno al tavolo, si rollano sigarette, qualcuno si fuma una mezza canna lasciata spenta prima della lezione, altri giochicchiano con le corde della chitarra e a turno (si prendono gli interventi) si fa collettivo. Parlano tutti ma alla fine decidono in tre, quattro. Sempre quelli. Come succede tra i neri in fondo. Se non sono all’università si incontrano nei centri sociali o squat, che poi sono luoghi occupati come quelli che si occupano a destra ma in quel caso guai a usare la parola squat che suona troppo di sinistra.
I collettivi ‘rossi’ sono ‘anti’ , ‘no’ o ‘auto’. No-Tav, No Dal Molin, anti-fascisti, auto-gestiti, auto-finanziati. Anche Blocco studentesco assicura di non prendere fondi dai partiti ma di fare da sé organizzando serate, chiedendo contributi agli associati, organizzando i concerti. Poi c’è pero’ chi li accusa di avere ‘impicci’ con la politica romana. A proposito di musica, a destra i giovani ballano la Cinghiamattanza. Un ballo un po’ ska durante il quale si ‘poga’ con tutte le forze e si sbatte violentemente uno contro l’altro. Online ci sono alcuni video in cui si frustano pure. A sinistra va forte il reggae. Oltre chiaramente alla nostalgica “Bandiera rossa” e “Bella ciao” che unite alle sciarpette a righe colorate che indossano i ragazzi di sinistra, fanno un bel quadretto stile anni ‘70.
Non a caso, a sinistra condannano la guerra, però giustificano la lotta armata. Come nel caso del Che Guevara, mito combattuto tra destra (“è un guerriero”) e sinistra (il Che come liberatore della patria). Intorno al leader argentino Casa Pound ha organizzato una conferenza. «Anche per dare un po’ fastidio a loro», ammette Di Stefano. A destra sono imperialisti e spesso hanno sostenuto le relazioni dell’Italia con gli Stati Uniti, a sinistra sono anti-americani e qualche hanno fa in oltre 10mila hanno marciato contro l’arrivo di Bush a Roma. Parlando di università, Blocco studentesco ne immagina una aperta ma non livellata, il che presuppone che ci siano delle selezioni in ingresso. I collettivi se ne infischiano e chiedono università di qualità ma che sia per tutti. Bravi e meno bravi.
Tra gli adulti c’è chi storce il naso. Per alcuni, sono solo scaramucce. Per altri il pericolo è che si torni agli anni di piombo. L’ultima volta che si sono avvicinati, nel 2008, a Piazza Navona se le sono date di santa ragione. La protesta era partita all’insegna di un ‘no’ comune «alla legge Gelmini». Erano tutti d’accordo. Almeno sembravano. Studenti di destra e di sinistra nella stessa vasca. Avrebbero potuto fare la rivoluzione. Ma qualcosa andò male. Colpa di uno, colpa dell’altro. Rispetto a quel giorno, solo su un punto sono tutti d’accordo: la guerra è guerra e l’autodifesa prevede anche che si prendano le armi.