Fassino vince in carrozza, Torino vota la continuità

Fassino vince in carrozza, Torino vota la continuità

TORINO – Piero Fassino è il nuovo sindaco di Torino. La vittoria è stata larga (57%), come ampiamente previsto, e tutto il Partito democratico ora festeggia. Nonostante non sia paragonabile all’ultima tornata elettorale, quando Sergio Chiamparino stravinse con oltre il 66% dei voti, quella dell’ex ministro della Giustizia è la prova che i torinesi non abbandonano l’idea di essere amministrati dal centrosinistra. Molta era l’attesa per il Pdl, desideroso di rifarsi dalla cocente sconfitta del 2006, quando il candidato sindaco Rocco Buttiglione si fermò al 33 per cento. Per Michele Coppola, sfidante azzurro di Fassino, il risultato è stato addirittura peggiore: difficilmente supererà quota 30 per cento (al momento è fermo poco sopra il 27). E per il Pdl in Piemonte si avvicina la rivoluzione: via l’attuale coordinatore regionale Enzo Ghigo, dentro Vito Bonsignore.

Piero Fassino ha vissuto con apparente tranquillità l’arrivo dell’esito delle elezioni. Fin dai primi dati la situazione è apparsa chiara: oltre il 55% delle preferenze sono andati a lui. La sicurezza del Pd è apparsa schiacciante. «Stiamo continuando un ciclo virtuoso di gestione», dice uno dei ragazzi presenti in uno dei seggi della circoscrizione 1 di Torino, quella Centro. L’ombra di Chiamparino ha inciso non poco: dalle Olimpiadi invernali del 2006 al raduno nazionale degli Alpini, avvenuto pochi giorni fa, passando anche per la rivoluzione urbanistica che ha vissuto Torino negli ultimi dieci anni. Anche se resta da chiarire in che modo sarà gestito il fardello del debito di Palazzo di Città. Nessuno dei due candidati maggiori ha toccato con dovizia di particolari l’argomento, glissando in più occasioni. E proprio questo, secondo molti, è stato il vero punto debole del Pdl.

Michele Coppola ce l’ha messa tutta. Lui sì, il partito no. È questo il sentore che aleggia in Corso Vittorio Emanuele 94, sede del Pdl. Poche ore prima del voto, a lanciare il macigno era stato Roberto Rosso, pezzo da novanta del partito in Piemonte. Il suo sconforto ha lanciato una pesante ombra su tutta la gestione della campagna elettorale condotta dal giovane assessore alla Cultura della Regione. E ha amplificato le divisioni interne al Pdl. Dopo i primi exit poll, il malcontento era visibile. «Se si fa peggio del 2006, io me ne vado», ha tuonato il coordinatore regionale Enzo Ghigo. Pesante il giudizio di Agostino Ghiglia, ex Alleanza nazionale: «La vittoria è chiara, anche se Fassino ha perso moltissimi voti rispetto a Chiamparino». E ancora, Ghiglia attacca sulla metodologia di una campagna «poco orientata al malgoverno del sindaco».

Oltre a Fassino sono altri due i vincitori di questa tornata elettorale. In primis, il senso civico dei torinesi. Al termine della prima giornata di voto, l’affluenza è stata superiore del 2,99% rispetto alle comunali di 5 anni fa, per un totale del 49,9 per cento. E anche oggi è stato rispettata la tendenza. I torinesi che hanno votato alla fine sono stati pari al 66,54% degli aventi diritto, circa un punto percentuale in più rispetto all’ultima tornata.

Terzo vincitore è risultato essere il Movimento cinque stelle, dato fin dai primi exit poll intorno al 5 per cento. Vittorio Bertola, candidato sindaco per i grillini, ha battuto anche il candidato del Terzo polo, Alberto Musy, seppur spendendo «meno di un decimo di quanto hanno speso loro». Bertola, ingegnere con forte esperienza internazionale, ha saputo cogliere l’insoddisfazione della gente verso il Partito democratico. Sarà interessante vedere come si muoverà in Sala Rossa.

L’elettore sabaudo ha quindi premiato la continuità, l’esperienza, cioè Fassino e il Pd. Il tentativo del centrodestra di proporre un candidato giovane (Coppola è del 1973) e fuori dagli schemi politici tradizionali non ha premiato. Il centrosinistra gioisce. Poi, dopo aver gustato il successo, potrà anche dedicarsi all’analisi di alcuni aspetti meno positivi come il risultato, appunto, del Movimento cinque stelle. Il plebiscito ottenuto con il secondo mandato di Chiamparino difficilmente sarà superato, ma quello che importa è la continuità desiderata dal Pd, elemento che contraddistingue Torino dal 1993. 

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