Il futuro finanziario del Nordest corre sull’asfalto di un’autostrada. È il progetto “terza corsia”, che si propone di snellire il traffico della A4, da Trieste a Venezia. Un tracciato lungo novantacinque chilometri – 55 in Veneto e in 40 Friuli Venezia Giulia – diviso in 4 lotti, parte integrante del Corridoio V, l’arteria autostradale e ferroviaria che taglierà (salvo sorprese) l’Europa continentale da Lisbona a Kiev. Una strada che dovrebbe cancellare almeno in parte la triste fama della A4, appuntamento fisso nelle cronache agostane per le code infinite di vacanzieri incolonnati in direzione Croazia. Un’occasione per riportare Veneto e Friuli Venezia Giulia al centro dei traffici mitteleuropei, non senza una certa dose di rischio.
Dall’esito della partita politica su cui si gioca la nuova autostrada, dipende la sopravvivenza stessa del tessuto imprenditoriale diffuso che è attitudine e marchio di fabbrica di questo spicchio d’Italia di confine. Autovie Venete ( controllata da Friulia con l’86,5% del capitale, mentre il 4,8% è in mano alla Regione Veneto), cui l’Anas ha ceduto la gestione della A4 fino al 2017, è controllata da Friulia holding, la finanziaria regionale, il cui azionariato è saldamente in mano alla giunta friulana, che sfiora l’80% delle quote. Il rimanente 20% è quasi interamente sottoscritto da un pool di banche e assicurazioni, tra cui Intesa Sanpaolo attraverso Friulcassa, UniCredit, Bnl, la finanziaria delle Bcc regionali, la Banca Popolare di Vicenza, le Generali e Allianz.
Il cantiere della terza corsia, che ha ottenuto il via libera del Cipe a inizio dicembre, costerà alle casse regionali 2 miliardi e 300 milioni di euro, di cui poco meno della metà, 1 miliardo di euro, già anticipato dalla Bei, la banca d’investimento comunitaria. Rimane scoperto un miliardo e 300 milioni di euro: la gara, partita a ottobre, è stata chiusa lo scorso 31 marzo non senza apprensione. Pochi giorni prima, la Cassa depositi e prestiti ha approvato un finanziamento da 150 milioni di euro «finalizzato all’urgente avvio dei lavori» della terza corsia. Ieri, invece, otto banche (Biis, UniCredit, Mediobanca, Mps, Credit Agricole, Centrobanca, Natixis e Deutsche Bank) hanno offerto 1,7 miliardi di euro ma non sono chiare le condizioni richieste ad Autovie Venete, ad esempio se ci siano covenants da rispettare. Alcuni istituti di credito interpellati da Linkiesta, seppure mantenendo le bocche cucite sui vincoli per la concessionaria autostradale, fanno però sapere che sono da tempo pronti ad investire nel progetto. La tempistica dell’apertura della busta, a poche ore dal voto a Trieste e Pordenone, insomma, non sarebbe dettata da motivi di business, ma politici.
L’indebitamento di 2 miliardi di euro potrebbe costare caro alle casse regionali: alla fondazione della holding, nel 2005, i patti parasociali – scaduti lo scorso giugno e non ancora rinnovati – prevedevano una clausola di way out con permuta di partecipazioni in Friulia con azioni di Autovie Venete, qualora non si fosse arrivati, entro il primo semestre 2010, alla quotazione di quest’ultima, attraveso una newco. Ipotesi che si è puntualmente verificata. Il motivo è facilmente intuibile: i pedaggi autostradali garantiscono a Friulia liquidità costante. Che viene girata alle Pmi sparse sul territorio: una capacità d’investimento pari a 46 milioni di euro, nel primo semestre 2010.
Nell’ultima nota di bilancio, relativa all’anno 2009/2010, «si conferma anche quest’anno il positivo contributo derivante dai dividendi erogati dalle società partecipate strategiche – S.p.A. Autovie Venete, Finanziaria MC S.p.A., Fi- nest S.p.A. e Interporto Cervignano del Friuli S.p.A. – complessivamente pari a Euro 10,4 milioni (euro 12,7 milioni nell’esercizio 2008/2009)». Tradotto: l’autostrada finanzia la holding con i dividendi (in calo). Guardando ai conti 2010/2011, il discorso non cambia: la holding ha chiuso l’esercizio con 5,8 milioni di euro di utile (5,3 milioni nel 2008/2009), mentre l’utile di Autovie è calato a 18,8 milioni di euro (33,4 milioni nel 2008/2009). I ricavi delle vendite sono infine passati da 124,3 milioni di euro (2008/2009) agli attuali 122,7 milioni, principalmente per via di «una minore incidenza dei mezzi pesanti sui mezzi leggeri, e al mancato riconoscimento di adeguamenti tariffari». Tanto basta per dire che la capacità d’investimento di Friulia dipende principalmente dalla terza corsia.
Intanto la governance della finanziaria friulana è cambiata: addio al sistema duale voluto dall’ex presidente Riccardo Illy, e ritorno al vecchio consiglio di amministrazione. Alla presidenza viene nominato Edi Snaidero, numero uno dell’omonimo marchio di cucine. Ancora vacante, invece, la poltrona del direttore generale. Un posto prenotato da Riccardo Riccardi, attuale assessore regionale alle Infrastrutture. Il Governatore Renzo Tondo è titubante, forse per via del niet del coordinatore nazionale di Fli, il triestino Roberto Menia. La realpolitik regionale impone un atteggiamento attendista. Un impasse che aveva costretto Friulia, lo scorso febbraio, ad affidare a Korn/Ferry, società di executive search e management consulting, la ricerca del nuovo dg. Dopo 25 colloqui, il velo sul nome non si è ancora alzato.
Dal canto suo, Edi Snaidero – che come prima mossa al vertice ha reinserito i rimborsi per gli amministratori – dovrà gestireuna scommessa infrastrutturale basata essenzialmente su due fattori tutt’altro che scontati: crescita del traffico pesante proveniente dalla nuova Europa e aumento dei pedaggi. Gli ultimi dati di Autovie Venete, relativi al primo trimestre 2011, indicano un aumento dei tir pari al 3,1% anno su anno, dopo il tonfo a meno 14% del 2009, che compensa il più1,2% del 2008, rispetto al 2007. I dati non ancora ufficiali del periodo gennaio-aprile 2011, invece, mostrano un aumento del 3,8% sul primo trimestre 2010, dopo un meno 15% del 2009 sul 2008. Tutto bene, quindi: il traffico è in aumento. Ma che succede se il camionista slovacco preferisse un’ora in più sulla statale a una tratta autostradale puntellata da lavori in corso?
Fu proprio un tir – che, nell’agosto 2008, causò la morte di 7 persone sbandando sulla corsia opposta al suo senso di marcia – a convincere Berlusconi della necessità di ampliare la carreggiata, dopo il niet rifilato da Antonio Di Pietro a Illy e Galan ai tempi dell’esecutivo Prodi. Un mese dopo, il governatore Renzo Tondo venne nominato commissario straordinario. Il resto è storia di oggi: mentre il 22 dicembre scorso Tondo e Zaia inauguravano il primo lotto – da Quarto d’Altino a San Donà – il numero uno della concessionaria, Emilio Terpin, volava a Roma per accordarsi con il presidente dell’Anas Pietro Ciucci, sull’aumento dei pedaggi: più 11%, dallo scorso gennaio.
La corsa al finanziamento del debito è dunque cominciata. Nell’eventualità che l’investimento delle banche non venisse remunerato, lo scenario più probabile sarebbe la cessione delle quote detenute in Friulia ad altre società autostradali – in pole position la Cav, che gestisce il Passante di Mestre – con tanti saluti alla sbandierata autonomia finanziaria regionale. E al ruolo di incubatore territoriale che Friulia da sempre aspira a diventare. Proprio su questo punto, rimane l’incognita degli appalti europei per individuare i general contractor. Fare lobbying per favorire le imprese friulane sarebbe un ottimo modo per mantenere le risorse lungo i cantieri della terza corsia.