L’incertezza politica blocca le riforme, e intanto il debito sale. Standard & Poor’s, una delle tre sorelle del rating (con Moody’s e Fitch) – società che si occupano di esprimere un giudizio sulla salute finanziaria di istituzioni e società, ha rivisto al ribasso l’outlook sull’Italia, da stabile a negativo. Pur mantenendo con il massimo dei voti, «A+» sul lungo e «A-1+» sul breve termine, la capacità del Paese di ripagare il debito, l’agenzia newyorkese ha specificato in una nota che un outlook negativo «implica una probabilità del 33% che i rating vengano abbassati entro i prossimi 24 mesi». In altri termini, il passo successivo è il declassamento del merito debitorio italiano.
Le motivazioni a supporto del giudizio di S&P, come si legge in una nota, sostengono come sia «incerto l’impegno politico nelle riforme tese a migliorare la produttività. Il potenziale stallo politico potrebbe contribuire ad uno slittamento delle riforme fiscali». E, di conseguenza, all’allungamento dei tempi per un piano di riduzione dell’esposizione debitoria. Immediata la risposta di via XX Settembre, che in un comunicato diramato intorno alle 11.30 ha fatto sapere che «i dati macroeconomici sulla base dei quali l’agenzia S&P’s ha confermato il proprio giudizio lo scorso dicembre, non solo non hanno subito variazioni sfavorevoli nel corso del primo trimestre 2011, ma in alcuni casi sono risultati migliori». «L’unico elemento nuovo», continua la nota del Tesoro, «pare costituito dal rischio di una possibile “paralisi” politica. (political gridlock). Questa è da escludere in assoluto». Entro luglio, affermano infine dal dicastero guidato da Tremonti, il Parlamento approverà il pacchetto di provvedimenti mirati «al rispetto dell’obiettivo di pareggio di bilancio per il 2014».
Tuttavia, S&P nota che il debito pubblico, al 116% del Pil, sia ritornato ai livelli di 15 anni fa, nonostante nel 2007 si fosse abbassato al 100% del Pil. L’agenzia americana ritiene inoltre che «ci siano più di una possibilità su tre che l’Italia non riuscirà a ridurre il debito al 113% del Pil entro il 2014». Un panegirico per dire che il pareggio di bilancio è soltanto un sogno ad occhi aperti. Gli americani di S&P puntano poi il dito sulla debole crescita economica italiana: «la limitata capacità di beneficiare del rafforzamento della domanda esterna riflette la passa crescita produttiva, la limitata mobilità sociale e una continua erosione della competitività internazionale nell’ultimo decennio», si legge ancora nelle motivazioni, dove si esprime il timore sull’«intensificazione della competizione nei settori-chiave dell’export italiano, l’apprezzamento del tasso di cambio (deflazionato dai salari) e il rischio dell’aumento dei costi di raccolta nel settore pubblico e privato».
La tegola arriva sulla testa di Tremonti in un momento particolarmente complesso tanto per l’Italia, a una settimana esatta dai ballottaggi a Milano e Napoli, il cui esito costituisce un’ipoteca sulla tenuta della maggioranza, quanto per l’Europa. Martedì scorso, a Bruxelles, i ministri dell’Eurozona riuniti nel vertice Ecofin hanno avallato un finanziamento, di concerto con il Fondo monetario internazionale, da 78 miliardi di euro, mentre ieri Fitch ha ulteriormente abbassato il rating sulla Grecia e il premier spagnolo Zapatero ha dichiarato, alla vigilia dell’importante appuntamento elettorale iberico, che se la Spagna non avesse implementato il piano di austerità approvato nel maggio 2010 un bailout sarebbe stato molto probabile.
Atene si è irritata non poco nel leggere, tra le righe dell’analisi di Fitch, che l’abbassamento del giudizio a «B+», livello al limite dell’investment grade, sarebbe stato influenzato dalle insistenti indiscrezioni sulla stampa riguardo a una possibile procedura di ristrutturazione. Una misura parzialmente avallata dall’Ecofin di inizio settimana, che ha dato il disco verde al riscadenziamento del debito ellenico. Una “ristrutturazione soft”, come è stata definita dal presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker.
Le parole di Zapatero, invece, sono suonate come una difesa del Governo il giorno prima della massiccia tornata elettorale odierna, che coinvolgerà 8mila comuni e 13 Regioni su 17. Un appuntamento vissuto al cardiopalma dalla maggioranza socialista, viste le proteste studentesche dell’onda spagnola, che dal 15 maggio, da Plaza del Sol a Madrid, si è propagata in oltre 50 città.
Tornando a Roma, le stime diffuse ieri dall’Istat sul commercio estero extra Ue – uno dei comparti che, nell’analisi di S&P, starebbero soffrendo di più la competizione – registrano un ampliamento del disavanzo, passato da -1,3 miliardi di aprile 2010 a -3,1 miliardi dello stesso mese del 2011, a fronte di un tasso di crescita congiunturale pari a 2,4% per le importazioni e 2,8% per le esportazioni. L’aumento tendenziale, rileva l’Istat, si mantiene su tassi elevati: +30% per l’import, in accelerazione rispetto alle variazioni tendenziali registrate nei due mesi precedenti, e +17,8% per l’export. Gli ordinativi dell’industria nel mese di marzo, rispetto a febbraio 2010, hanno segnato un incremento dell’8,1%, il livello più alto dal 2006. Una spinta viziata dal commercio con l’estero, che la fa da padrone. I problemi maggiori sono sul fronte interno, dove il mercato langue. Vietato nascondersi, però: il declassamento del Paese potrebbe arrivare prima dei 24 mesi stimati da S&P.