Arriva vestita di chiaro a un quarto a mezzanotte. Il viso pallido, il sorriso tirato. Si siede davanti ai microfoni al quartier generale del pdl, in via Romagnosi, pieno centro. Letizia Moratti, sindaco uscente di Milano, ha solo un soffio di voce per dichiarare che «non si è parlato abbastanza di Milano» e che «dalla città partirà una fase nuova, di riflessione per il centro-destra». Accanto a lei, Laura Ravetto (più interessata a informare sui voti presi dal capolista Berlusconi), Giovanni Terzi, assessore al commercio (722 voti presi, meno di Sara Giudice) e Mariolina Moioli (Assessore alle politiche sociali), accompagnata dal figlio che la regge mentre cammina. Sul ballottaggio, il sindaco uscente dice: «Sarà una nuova esperienza per noi». Ma la voce che trema tradisce che neppure lei ci crede davvero. Mentre abbandona, poco dopo la mezzanotte, il Palazzo della Cariplo, stringe la mano a una sua elettrice e le sussurra: «Continuiamo sereni».
Facciamo un passo indietro. La lunga corsa di Giuliano Pisapia, a espugnare Milano, inizia forse in mattinata, a Palazzo di Giustizia, dentro quel sorriso del premier presente per l’udienza al processo Mills. «Non dico nulla, sto in silenzio elettorale», diceva. Per poi aggiungere: «Non mi fido di voi, ho la massima sfiducia nella situazione informativa». Qualcuno ipotizzava già che il Cavaliere sentisse sgusciare via, da sotto le dita, la sua Milano: la città dove è iniziata l’avventura del tycoon che si è fatto da solo. La città che, qualche giorno prima, gli aveva regalato un Duomo in festa, attorno al pulmann dei giocatori del Milan, a brindare per il diciottesimo scudetto del Milan. E il luogo dove, al Palasharp, prometteva che avrebbe preso più di 53mila preferenze come capolista (ne ha avuto 28mila).
Nessuno ci credeva a un Pisapia in testa sul sindaco uscente. Troppo più ricco il suo budget per la campagna elettorale (6 milioni di euro circa, stando a ciò che ammetteva lei). Troppo più forte la macchina scesa in pista per acciuffare preferenze fino al voto. Con le sue mise bon ton, lo smalto cambiato ogni giorno, il sorriso fisso in faccia, la Moratti era ovunque. Una macchina inarrestabile di appuntamenti per la città. A fronte di un Pisapia morigerato nella presenza: non più di due, tre appuntamenti al giorno. «Perché deve riposare», diceva qualcuno dentro lo stesso pd, con malizia. «Perché ha pochi soldi», controbilanciavano altri. Dopo il week end di voto e silenzio elettorale, non è occorso attendere troppo per capire che qualcosa stava cambiando. Intorno alle quattro, con i primi spogli, la forbice Moratti Pisapia si è fatta stretta. Al quartier generale del sindaco, le truppe del pdl non si sono viste. Mentre a Palazzo Marino viene convocato un vertice d’urgenza nell’ufficio del primo cittadino – presenti il ministro La Russa, Bonaiuti e la sondaggista di fiducia Alessandra Ghisleri – in Romagnosi neppure un big.
Il coordinatore lombardo pdl Mantovani non c’è. (Pare fosse nell’altra base pdl, in viale Monza, snobbata dalla Moratti). Una breve apparizione di Maurizio Lupi che ancora credeva a una vittoria – «Noi siamo fiduciosi, accettiamo scommesse, poi vediamo alla fine» – e un salto di Matteo Salvini (9mila preferenze. La Lega è al 9,6 per cento), prima di raggiungere la sede del partito in via Bellerio. Solo intorno alle sette, il sottosegretario Laura Ravetto si spende in dieci secondi di dichiarazione che ha dell’incredibile: «I primi dati danno una tenuta della coalizione, ma anche su questo estrema cautela». Per poi aggiungere: «Se ci sarà ballottaggio lo affronteremo». Questo, mentre nella sala stampa di Palazzo Marino, dove venivano proiettati i dati, Pisapia era già sette punti sopra la Moratti (che, nel primo pomeriggio torna nell’abitazione privata e ci rimane fino a tarda sera).
«Noi non ci credevamo», ci confida Ines Quartieri, consigliere comunale di Sel. «Pensavamo, nella migliore delle ipotesi, a un ballottaggio in salita. Ma Milano si è stancata. E anche il suo elettorato di centro-destra». Quando Pisapia sfiora il 48 per cento, lasciando la Moratti a mangiare polvere – laggiù, a sette punti di stacco – a Palazzo Marino iniziano a sfilare i primi volti raggianti del pd milanese. Prima di spostarsi al loro quartier generale, al Teatro dell’Elfo, in corso Buenos Aires. Dal “rottamatore” Civati a Maurizio Martina, segretario del pd Lombardia.
Pierfrancesco Majorino, capogruppo pd in consiglio, dichiara: «Non ce l’aspettavamo. Eravamo sicuri del ballottaggio, ma non con un vantaggio così ampio. Milano non ha perdonato alla Moratti di essersi spartita una torta di interessi personali e d’aver trascurato la città». La prima cosa che farà il pd se dovesse vincere le elezioni? «Occuparsi degli alloggi, senza dubbio. Ci sono 5mila case sfitte. Non c’è bisogno di cementificare ancora». A qualcuno, guardandolo, sfugge la malizia, pronunciata in mezzo ai denti dall’altro capo della sala: «Dopo anni di attesa, finalmente avrà un assessorato. Non gli sembrerà vero». Stefano Boeri, capolista pd, arriva forte delle sue 13mila preferenze, su un volto abbronzato. Sorride davanti alle telecamere, quasi incredulo. Quando avete compreso che il vento stava cambiando? «Durante gli ultimi eventi – risponde – il concerto dei Subsonica davanti alla Stazione Centrale e quello finale, in Duomo con Vecchioni, a chiudere la campagna elettorale. Ma anche da Vendola, all’Arco della Pace… diecimila persone sono un segno tangibile del mutamento».
Per l’architetto questa vittoria l’ha strappata la “città delle professioni, della classe che lavora”: «Del resto io e Valerio Onida (avvocato e in corsa per le primarie pd di autunno) siamo liberi professionisti. Ma c’è un altro dato interessante da considerare: i voti dei cattolici, dal centro, si sono spostati a sinistra». Prioritaria, anche per lui, la soluzione della questione legata agli alloggi, con cui ha picchiato come un maglio già fin dalle primarie, in corsa con Pisapia. E il pgt? Gli chiediamo. «Così com’è concepito è un’arma impropria. – risponde – Non va abbandonato, ma certo rivisto. E vanno bloccate le nuove cementificazioni».
Durante la campagna elettorale, come chiosa alla straordinaria partecipazione dell’elettorato del centro-sinistra agli eventi, molti si abbandonavano a osservazioni pessimistiche: “Piazze piene e urne vuote”. Francesco Laforgia, coordinatore cittadino del pd milanese, esclama: «Abbiamo smentito il detto! Piazze piene e urne piene! Se vince Pisapia – aggiunge – il cambiamento contagerà anche il resto del Paese. Si registrerà un forte scossone a Roma, a livello nazionale. Anche la Lega è andata male: le bugie si pagano. Hanno tanto picchiato sulla sicurezza, ma la città è sempre più insicura». Chiediamom anche a lui un progetto da cui far partire la rinascita. «Un tavolo serio per il lavoro – risponde – tra sindacati, associazioni e politica. Un rilancio dello sviluppo che assesti un colpo alla crisi economica. Si può partire dall’Expo, non come torta da spartirsi però – come intende il pdl – ma come occasione per l’occupazione».
Basilio Rizzo, presidente del gruppo consiliare Uniti con Dario Fo per Milano, scrutando compiaciuto gli schermi con le proiezioni elettorali, in sala stampa, ride: «Più che al ballottaggio, il sindaco Moratti pensi al trasloco». Intanto il candidato grillino Mattia Calise sale al 3,23 per cento. 21 mila voti: un bacino che, nella migliore delle ipotesi, non disturberà il pd al ballottaggio (ma molti torneranno a votare per Pisapia, confessano).
Anche Loris Zaffra, presidente dell’Aler, l’ente delle case popolari, si aggira per la sala chiedendo quante sezioni siano state scrutinate. Qualcuno si chiede che fine abbia fatto il candidato Fli, Manfredi Palmeri. Ed eccolo arrivare – trafelato – e senza la consueta seggiola bianca che si è trascinato, durante l’intera campagna elettorale, in segno di protesta per un mancato confronto con gli altri due candidati. In sala Alessi, giunge intorno alle sei e mezzo. Prima controlla con dovizia le proiezioni di voto sugli schermi, poi spiega: «Non abbiamo avuto né spazio mediatico, né budget., né sede. Ma, nonostante questi handicap, siamo al 5, 5 per cento. In verità ci aspettavamo un po’ di più, ma siamo contenti, tutto sommato». Qualche voce lo accreditava come in rientro nel pdl, gli chiediamo. Si irrigidisce e sorride imbarazzato: «Sono cattiverie che scrivono. Io non posso essere comprato. Ci hanno provato, ma non ci sono riusciti».
Nel cortile antistante la sala Alessi, Barbara Ciabò, anche lei Fli, si attacca al telefono sconsolata. La sua candidatura in consiglio è a rischio (780 voti: sarà fuori). Le chiediamo se credesse a un sorpasso a sinistra: «Io sì. Ero l’unica a dirlo. Ma non occorrevano grandi analisi politiche. E’ stato sufficiente battere la città per mercati, come ho fatto io durante l’intera campagna elettorale. Milano è una città ribelle, non la si può provocare. Berlusconi ha ignorato lo stato di disagio dei suoi cittadini. E l’ha pagata». Del pdl – oltre all’assessore all’arredo urbano Maurizio Cadeo – chiacchiera con i giornalisti anche Carlo Fidanza, parlamentare europeo. Di fronte alle nostre domande sul crollo del centro-destra minimizza. «La Moratti è stato un sindaco coraggioso. Ha affrontato un grosso problema come il traffico. E ha ottenuto risultati brillanti con l’ecopass. Anche l’Expo è nata qui, grazie al suo impegno». Ma non si è trasformato solo in uno stipendificio in questi due anni? «No. Assolutamente. E’ una grande sfida, un’occasione per l’occupazione e molti progetti sono già partiti».
Intanto, al quartier generale del pd, in corso Buenos Aires – qualche centinaia di sostenitori – Pisapia si lascia andare ai primi commenti entusiastici, e a qualche amarezza: «In questa campagna elettorale mi hanno fatto male molte cose, tra cui un giornale che ha parlato male di mio fratello più giovane che ora non c’è più. Vuole dire aver toccato il fondo della politica. Io spero di aver dato un segnale di buona politica che ha appassionato i giovani e coloro che non andavano a votare hanno visto uno che si è messo in gioco avendo tutto da perdere».
Il colpo basso a Sky, quello sferrato dalla Moratti in zona Cesarini, nel confronto televisivo, gli ha portato, in parte, beneficio nelle urne. I risultati lo danno vincente in 9 zone su 9. La sua base si mostra a tratti incredula del traguardo che, a guardare bene i dati, in realtà è determinato più da un tracollo della coalizione di centro-destra. Rispetto ai valori registrati nel 2006, il pd ha infatti guadagnato poco. E anche le liste civiche collegate. Qualcuno ammette, onestamente: «E’ il pdl che si è squagliato» (Ad Arcore, il candidato di centro-sinistra, Rosalba Colombo, è in testa di sei punti sul pdl).
Nella sala attigua alla grande sala stampa, si può godere di un po’ di silenzio per scrivere. Silenzio interrotto, con sistematicità, dai candidati al consiglio comunale. Di ogni colore politico. Vengono, consultano compulsivamente i risultati e si allontanano dal pc. Chi con disperazione, chi convinto di essere dentro per un soffio. Tutti ci dicono la stessa cosa: «Non ci importa granché del sindaco. Noi, in ogni modo, vogliamo esserci».