Qualcosa in più del consueto red carpet del capitale italiano. La formula tripartita dell’esordio di Giuseppe Vegas da numero uno di Consob, con gli interventi dell’ad di Eni Paolo Scaroni in qualità di rappresentante del mercato, e della 24enne bocconiana Federica Andrighetto, è stata un’innovazione apprezzata dai presenti in sala. Così come la snellezza di un intervento durato appena 40 minuti, per 19 pagine, entro le quali hanno trovato spazio tanto le diagnosi delle note criticità di Piazza Affari che le soluzioni per il suo rilancio.
L’approccio di Vegas, mutuato dai suoi trascorsi da sottosegretario all’Economia, è quello di un mercato attento agli aspetti micro e macroeconomici del tutto peculiari nel Paese. Per questo, il cuore del suo intervento si è imperniato su un problema, il «sottodimensionamento della borsa italiana», la sua origine, la «scarsa presenza delle medie imprese nel listino», e una diagnosi: «è ancora troppo debole il ruolo degli investitori istituzionali, in particolare di quelli specializzati in investimenti nel capitale di rischio». Dato per assodato il fallimento di Aim Italia e Mac, che impallidiscono al confronto con l’Aim Uk (19 imprese a febbraio 2011 rispetto alle 968 di Londra), l’idea di Vegas sarebbe di creare «nuove piattaforme riservate agli investitori professionali, non assoggettate all’integrale applicazione ella disciplina comunitaria prevista per i mercati accessibili ai piccoli risparmiatori». Il corollario per la sua realizzazione passa attraverso «la graduazione degli obblighi in materia di ingresso e permanenza sul listino in funzione della dimensione degli emittenti». Anche perché la normativa attuale «assogetta a norme pressoché identiche mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione (Mtf)».
La lunghezza d’onda è la stessa di Tremonti, che qualche settimana fa aveva denunciato gli eccessivi costi di quotazione della piazza italiana. Attrarre capitali esteri, aveva detto il titolare di via XX Settembre, «si fa offrendo un regime che sia veramente attrattivo». «Le chance di riportare capitali (in Italia, ndr) sono molto alte, ma devi offrire livelli di burocrazia assolutamente competitivi», aveva poi affermato il ministro.
Un monito ripreso oggi da Vegas, secondo cui «tentare di controllare l’intero perimetro delle attività finanziarie è una scommessa persa in partenza perché l’innovazione, gli arbitraggi e la dimensione globale dei mercati ne modificano continuamente i contorni». Meglio non abbandonarsi ai rischi della super-regolazione, per valutare invece quanto sia opportuna la distribuzione ai risparmiatori di prodotti finanziari complessi.
Proprio sul tema della salvaguardia dei risparmiatori l’atteggiamento di Consob non è chiaro. La proposta di estendere al retail il Kiid (key investor information document) mutuato dai fondi d’investimento – un prospetto informativo di due pagine di facile lettura – affiancata da una possibile eliminazione del prospetto stesso nel caso di obbligazioni “da banco”, potrebbe significare l’apertura di un canale di finanziamento, per gli istituti di credito, meno costoso degli aumenti di capitale. Ordini che arrivano, in base alle indiscrezioni raccolte da Linkiesta, direttamente da Bankitalia.
L’Authority riconosce che le nuove regole dettate da Basilea III «comporteranno inevitabilmente un razionamento del credito, soprattutto nei confronti delle imprese più rischiose e innovative». In questo quadro, è necessario «bilanciare la centralità del credito bancario nel modello di finanziamento delle imprese e nelle scelte di investimento delle famiglie». Le ricapitalizzazioni implicano un impegno temporale che ha un prezzo tangibile per gli investitori. Di conseguenza, un ricorso maggiore al debito rispetto all’equity sembra più conveniente in questa fase.
Un altro nodo intricato della relazione odierna concerne la governance delle società italiane. La ratifica nel nostro ordinamento della shareholders directive comunitaria e la normativa sulle parti correlate sono due passi avanti, mentre la deroga per via statutaria alla passivity rule, approvata in fretta per evitare la scalata di Parmalat, doveva servire a «contrastare il rischio di distruzione di valore». Tuttavia, i patti di sindacato rimangono. In merito, lo stesso Vegas prima nota che gli storici assetti proprietari – famiglia o Stato – delle società hanno favorito «forme di controllo basate su gruppi piramidali e sindacati di voto, che le hanno rese scarsamente contendibili», per poi sottolineare che «da sempre la legislazione italiana ha favorito la contendibilità, limitando le possibilità di difesa delle società a fronte delle scalate ostili. L’effetto indesiderato è stato quello di accentuare la chiusura degli assetti proprietari delle imprese». Insomma, qual è la causa e quale la conseguenza?
C’è, infine, la questione del listing. Consob – la quale vorrebbe avocarsi nuovamente tale funzione, oggi deputata a Borsaitaliana – sostiene che la produzione di documenti in larga parte coincidenti (Consob oggi approva il prospetto dell’Ipo) sfavorisca le piattaforme regolamentate rispetto a quelle over the counter. Il modello è la Fsa, l’authority londinese. Il quale è dotato di poteri ispettivi decisamente più stringenti rispetto al regolatore italiano, ed è studiato per un sistema finanziario composto – come ha ricordato Scaroni nel suo intervento – in prevalenza da public companies. Visti i recenti trascorsi delle banche inglesi, inoltre, prendere a modello la Fsa è piuttosto azzardato.