BOLOGNA- Manca un giorno all’appuntamento elettorale con cui la grassa e sempre meno rossa Bologna eleggerà il suo primo cittadino, dopo quattordici mesi di commissariamento prefettizio seguiti alle dimissioni del prodiano Flavio Delbono. In una città poco interessata da una grigia competizione elettorale, non si scommette sulle percentuali che verosimilmente conseguiranno i due candidati di maggiore peso (Virginio Merola del Pd e Manes Bernardini della Lega Nord), quanto sulla quota di astensionismo: a detta dei pessimisti potrebbe arrivare addirittura al 40 per cento, come mai è accaduto in una città che ha fatto della partecipazione alla politica un elemento di vanto.
Non pare sia solo questione di inadeguatezza delle candidature rispetto al calibro del capoluogo regionale: è la città stessa che è stanca, dopo anni di sostanziale incapacità, da parte della politica, di affrontare i nodi con cui in questa realtà metropolitana si fa i conti, resi più spinosi da protratte dinamiche economico-produttive ed occupazionali decisamente sfavorevoli. I numeri diffusi due giorni fa dalla Camera di Commercio parlano chiaro: si prevede per il 2011 un aumento del valore aggiunto dell’economia dell’1,4%, ma nello stesso tempo si evidenzia come nel 2010 le ore di cassa integrazione straordinaria sono state 21,41 milioni cioè +422% rispetto al 2009. Senza considerare che sono più che raddoppiate le persone in cerca di occupazione nel 2010 rispetto al 2008: hanno raggiunto il numero di 23 mila circa, il più alto dell’ultimo decennio.
È evidente come il clima della campagna elettorale ne sia condizionato. Ma che questa competizione abbia poco appeal, se ne è avuto riprova domenica in piazza Maggiore, in occasione del comizio organizzato a sostegno di Manes Bernardini. Per quello che avrebbe dovuto essere un evento da ricordare, erano calati in città addirittura Bossi e Tremonti. Ma ciò non è stato sufficiente a dare la carica all’elettorato di centrodestra. Perchè in piazza c’erano più bandiere che militanti, con l’aggravante che di questi ultimi, davvero pochi provenivano dalle fila del Pdl. Questo a ulteriore conferma che, al di là delle dichiarazioni ufficiali di Berselli & co., il Pdl non ha certo metabolizzato la candidatura del leghista Bernardini ed attorno ad esso continua ad esserci una situazione di unità più formale che sostanziale.
Dall’altra parte le cose non vanno poi meglio. Il “candidato di apparato“, come viene definito Virginio Merola, appare poco brioso, incapace di scaldare gli animi dei suoi stessi sostenitori. Ma anche incoerente: c‘è voluta l’inchiesta di Report perché Merola, già assessore all’Urbanistica con Cofferati, affondasse definitivamente il discusso Civis: un progetto di tram, partorito dalla giunta Guazzaloca, costato fino ad ora quasi 200 milioni, i cui lavori di costruzione, è bene ricordarlo, sono stati vinti dal “rosso” Consorzio Cooperative di Costruzioni.
Su Merola pesa pure una scelta comunicativa, costata molto costata molto , ma che rischia di pagare poco. Jacques Seguèlà, guru della comunicazione, artefice in Francia di 19 campagne presidenziali vittoriose su 20, insegna che la vittoria si gioca sulla capacità di comunicare agli elettori un buon mix tra due fondamentali “valori”: la fiducia ed il desiderio. «Questi ultimi sono sostanzialmente e drammaticamente assenti nei messaggi e slogan di Merola», commenta uno sconsolato esperto di comunicazione politica.
Ciò nonostante, il pronostico rimane a favore del candidato democratico. Nessuno crede, anche a destra, come ha proclamato Bossi dal palco di piazza Maggiore, che Bernardini possa vincere e perfino al primo turno. La sensazione è che non sia ancora maturo il tempo in cui possa prendere corpo lo scenario delineato nel recente film-inchiesta “Occupiamo l’Emilia”, – dedicato appunto alla forte avanzata del celodurismo in Emilia Romagna – in cui la Lega Nord sfonderà anche nella città “rossa“ per eccellenza.
Di fatto però la Lega Nord ha già vinto una sfida interna, imponendo un proprio candidato nella città capoluogo dell’Emilia Romagna, in cui peraltro il 9,6% ottenuto alle ultime regionali le vale il peggior risultato realizzato in regione. E se, come si prevede a Destra e come si paventa a Sinistra, Bernardini ce la farà a costringere Merola al ballottaggio, il partito di Bossi rafforzerà ulteriormente il proprio posizionamento e la propria rappresentatività tra gli elettori di centrodestra.
Sotto traccia, nella coalizione di centrodestra, ci sono insomma le ambizioni (leghiste) di un riequIibrio di forze, che specularmente connotano anche quella di centrosinistra; dove Sel punta ad erodere qualche punto percentuale al Pd, anche forte del probabile appoggio di Flavia Prodi e di qualche influente sodale del “clan“ Prodi.
In una situazione nella quale è facile prevedere come il governo della città, chiunque vinca, sarà debole, la borghesia produttiva ed i cosiddetti poteri forti stanno alla finestra. Disillusa la prima di poter assistere ad una campagna elettorale di alto profilo, in grado di tracciare uno o più orizzonti nuovi per Bologna. Pronti i secondi a riposizionarsi, ma soprattutto a riempire il vuoto della politica, riprendendo in mano le asce di guerra al momento opportuno: non già per litigare sulle opzioni di sviluppo di Bologna, ma per aggiudicarsi le poltrone che contano. Un assaggio di ciò è la battaglia in corso sulla Presidenza dell‘aeroporto Marconi: l‘inossidabile Giuseppina Gualtieri, economista, già direttore generale di Nomisma, diessina di lungo corso gradita anche ai prodiani, forte del sostegno dei soci pubblici e delle “rosse” Cna e Lega Coop, pare non abbia alcuna intenzione di levare il disturbo nonostante la Camera di Commercio, socio di maggioranza con 51%, da un anno invochi la necessità di un ricambio al vertice.
È un film che i bolognesi hanno già visto, tante, troppe volte, negli ultimi anni. Cofferati, “il marziano” atterrato a Bologna, si era illuso di riuscire a imporre la propria disciplina ai poteri forti. Ne venne sopraffatto, arrivando addirittura a “elemosinare” pubblicamente maggiore spazio nelle Fondazioni bancarie. Unindustria, Cna, Lega delle Cooperative, il salotto buono dell’industria e della finanza locale coagulato attorno a Piero Gnudi – il piccolo Cuccia in chiave bolognese – hanno dimostrato in questi anni di politica avvitata su se stessa, di saper tirare fuori le unghie quando si trattava di definire i board della Fiera, di Hera, delle diverse Ipap e delle stesse Fondazioni. Queste ultime, in particolare, sono divenute, anche a Bologna, crocevia di interessi e giochi di potere rilevanti.
E per questo le Fondazioni sono assai ambite, ma nello stesso tempo temute; anche grazie alla forza economico-finanziaria che rappresentano, sono davvero capaci di condizionare pesantemente la vita politica. «I Presidenti delle Fondazioni saranno i Sindaci-ombra di Bologna» prevede un importante esponente della coalizione di centrosinistra. L’allusione è in particolare a Fabio Roversi Monaco, già Magnifico Rettore dell’Università di Bologna, attuale Presidente della potentissima Fondazione Carisbo. Chi lo conosce, sa bene che l’importante progetto di valenza internazionale, da lui fortemente voluto e finanziato dalla sua Fondazione, denominato “Genius Bononiae”, «un percorso culturale, artistico e museale articolato in palazzi nel centro storico di Bologna, restaurati e recuperati all’uso pubblico», è solo l’antipasto di un’ambizione ad occupare con idee e progetti le praterie lasciate libere dalle amministrazioni succedutesi negli ultimi dieci anni. In ciò mettendo ancora più nell’angolo la politica.
*giornalista e dirigente di un’associazione di categoria