Petrolio in forte ribasso dopo la notizia della morte di Osama bin Laden. Secondo le agenzie internazionali, questa mattina intorno alle 7 ora italiana il barile Brent del Mare del Nord con consegna a giugno è stato scambiato a Londra a 124,91 dollari, circa 98 centesimi in meno rispetto alla chiusura di venerdì scorso. Decisamente pronunciata la caduta del West Texas Intermediate (Wti), che ha lasciato sul terreno 1,92 dollari a 112,01 dollari al barile nelle contrattazioni sul Nymex alle 11.25 ora italiana. Venerdì lo stesso contratto future aveva guadagnato poco più di un dollaro, a quota 113,93 dollari a barile, il livello più alto mai toccato dal settembre 2008, data del fallimento di Lehman Brothers.
In un’intervista al Financial Times, Mohammed El Erian, a.d. di Pimco, il più grande gestore di obbligazioni al mondo, ha spiegato che «il comparto petrolifero sarà piuttosto volatile data la sua sensibilità a strappi tra il minore rischio geopolitico e possibili tumulti isolati in alcune parti del Medio Oriente e dell’Asia centrale».
Jonathan Baratt, direttore generale della società Commodity Broking Services, basata a Sydney, interpellato dal quotidiano di Dubai Gulf News ha spiegato che «se Osama Bin Laden è stato effettivamente ucciso, assisteremo a una notevole riduzione del premio sul rischio pagato dagli investitori: ciò potrebbe tradursi in un calo del prezzo del barile tra i 5 e i 10 dollari». Gli fa eco, interrogato da Bloomberg, Ric Spooner, analista di Cmc Markets nella sede di Sydney: «Le buone notizie sul fronte geopolitico potrebbero avere l’effetto di fare scendere il prezzo del barile nuovamente sotto quota 100 dollari».
In realtà, l’uccisione del “principe del terrore” non sarebbe l’unica causa della caduta dei prezzi del petrolio. Il raid Nato che sabato notte ha ucciso il figlio minore del leader libico Muhammar Gheddafi, Saif Al Arab, ma soprattutto le indiscrezioni secondo le quali l’Arabia Saudita avrebbe incrementato l’output di aprile avrebbero infatti contribuito al trend discendente. In ogni caso, si guarda al breve termine, come osserva alla BBC un trader: «Le commodities reagiscono sempre in fretta alle notizie simili, ma sul lungo termine l’impatto non sarà sostanziale».
Nonostante, dunque, sia difficile intravvedere un effetto tangibile sui prezzi della benzina, lo stop odierno al rally petrolifero arriva in un momento in cui i contratti futures segnavano i maggiori rialzi da tre anni a questa parte, con l’aggravarsi della crisi libica e sui dati relativi al settore manifatturiero cinese, la cui crescita ad aprile è stata inferiore alle stime del mercato: l’indice relativo agli acquisti dei manager, diffuso dall’ufficio nazionale di statistica, si è infatti fermato a 52,9 punti rispetto ai 53,4 previsti e al consensus di 53,9 stimato da un sondaggio condotto dall’agenzia Bloomberg. In generale, come sottolinea un report di giovedì scorso della banca d’affari JP Morgan, la domanda asiatica di petrolio rallenterà nella seconda parte dell’anno, proprio per via del prezzo del barile.
A Wall Street, dall’inizio del 2011 il prezzo del petrolio è stato protagonista di un rialzo del 23%, in gran parte dovuto all’ondata rivoluzionaria in Medio Oriente e ai recenti attacchi dei ribelli libici ai pozzi petroliferi controllati da Muhammar Gheddafi. Vale la pena ricordare che il Paese nordafricano è il terzo produttore del continente nero, con un output pari a 1,3 miliardi di barili al giorno.