Per Draghi è fatta ma dovrà fare anche il lavoro di DSK

Per Draghi è fatta ma dovrà fare anche il lavoro di DSK

È fatta. Ufficiosamente, la corsa di Mario Draghi ai piani alti di Eurotower non ha più ostacoli. Poche ore fa, il presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, ha alzato il velo sul Governatore di Bankitalia, affermando di non aver ricevuto altra candidatura oltre a quella del numero uno di Palazzo Koch. Nessuna sorpresa sull’asse franco-tedesco, dunque, anche se l’arresto di Dominique Strauss-Kahn, che nel momento in cui scriviamo – secondo quanto si apprende – dopo essere comparso di fronte alla corte di Manhattan, resterà in carcere fino all’udienza del prossimo 20 maggio, avrebbe potuto scompaginare le carte.

Nella transizione post Strauss-Kahn, Draghi sarà chiamato a un doppio lavoro. Ne è convinto Paolo Guerrieri, docente di economia politica alla Sapienza di Roma, che osserva: «Draghi è l’uomo giusto per mediare, come aveva fatto sinora Strauss-Kahn, tra le esigenze della Bce, che afferma l’assoluta sconvenienza di una ristrutturazione del debito ellenico e le esigenze del governo tedesco, decisamente più aperto. La capacità negoziale del Fmi finora ha evitato un appiattimento sull’una o sull’altra posizione». Ora, il difficile compito toccherà al governatore di via Nazionale.

Per avere l’ufficialità della nomina di Draghi bisognerà attendere ancora un mese circa, quando si riunirà il Consiglio Europeo, dopo aver sentito il parere del direttivo Bce e del Parlamento Ue. Il passo definitivo, tuttavia, è giunto oggi. Curiosamente, a dare l’annuncio è stato proprio il lussemburghese Juncker, che aveva seguito il vicino Sarkozy nell’appoggio all’inquilino di Palazzo Koch, («quando si tratta di decisioni importanti» Francia e Germania sanno arrivare ad una posizione comune, aveva detto a fine aprile), e che per primo aveva smentito con forza l’incontro “segreto” dei ministri finanziari Ue per trattare l’uscita della Grecia dall’Eurozona, poi sfociata nel nuovo piano di aiuti da 60 miliardi di euro, garantito dall’European financial stability facility (Etsf), il fondo salva-euro che possiede una dotazione da 440 miliardi. Alla vigilia della riunione Ecofin di domani, sul tavolo della riunione odierna rimane il nodo del bailout da 78 miliardi a favore del Portogallo. Al momento, non è ancora stata diramata una posizione ufficiale in materia, soprattutto per quanto riguarda il tasso a cui sarà concesso il prestito a Lisbona. 

Intanto, a porre un punto fermo sulla questione Fmi ci ha pensato poco fa Angela Merkel, affermando che «sebbene sappiamo che, nel medio termine, i Paesi emergenti rivendicheranno la direzione generale del Fmi e della Banca mondiale, credo che in questa fase ci siano buone ragioni affinché l’Europa abbia pronto un candidato idoneo». Ovvero: oltre ai 110 milioni di euro già erogati dal Fmi pro Atene, e ai 280 milioni su 440 inseriti nell’Efsf, fino a quando i Paesi periferici avranno difficoltà di accesso ai mercati per rifinanziarsi il presidio europeo su Washington non si tocca.

Il fulcro della querelle tedesca sul nome di Draghi, dopo l’harakiri del candidato di casa Axel Weber, ex presidente di Bundesbank il quale, esattamente un anno fa, aveva usato parole dure e irrituali (per un membro dell’esecutivo Bce) prima affermando di non essere d’accordo con Trichet, poi accusando il Fondo monetario internazionale di essere andato oltre il suo mandato, salvando la Grecia, riguarda proprio Atene.

Nel febbraio 2010 il settimanale tedesco Der Spiegel aveva accusato Goldman Sachs, di cui Draghi è stato vicepresidente dal 2002 al 2005, di aver aiutato l’esecutivo ellenico a compiere operazioni cross currency swap. Ovvero di aver emesso titoli di debito pubblico in dollari e yen, per poi riconvertirli in euro guadagnando dalle differenze di cambio. La denuncia dello Spiegel riguardava il ruolo di Goldman Sachs, che avrebbe fissato dei tassi di cambio fittizi. Ad esempio, lo swap da euro a yen sarebbe stato sovrastimato (o sottostimato) in base all’andamento del cambio fra le valute. Tramite questo stratagemma, non contabilizzato dal Tesoro di Atene, il rapporto debito/Pil presentato all’Eurostat sarebbe stato ridotto di almeno un miliardo di dollari. 

L’americano Draghi ha guadagnato un consenso crescente dopo essere stato designato a capo del Fsb, l’organismo di vigilanza prudenziale introdotto nell’aprile 2009 dal G-20 di Londra con sede a Basilea, presso la Banca dei regolamenti internazionali. Un conto è approntare nuovi requisiti di patrimonializzazione per gli istituti di credito, un altro è dettare la politica economica comunitaria, con il mandato di mantenere l’inflazione sotto controllo. In quest’ultimo caso, l’impatto sui mercati è diretto e immediatamente tangibile. Soprattutto alla luce delle massicce privatizzazioni che Atene sta programmando da qui al 2013. 

Sul piano operativo, per Paolo Guerrieri, Draghi dovrà essere tempestivo quanto il predecessore. Conclude l’economista: «Nel maggio 2010 a salvare la Grecia non è stato tanto il piano di aiuti quanto gli acquisti di titoli ellenici da parte della Bce sul mercato secondario». La preparazione dell’ex Goldman Sachs, banca specializzata in operazioni aggressive, su questo punto dovrebbe essere una garanzia.  

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