A Tremonti per diventare statista Milanese non serviva più

A Tremonti per diventare statista Milanese non serviva più

L’uscita di scena di Marco Milanese dall’entourage di Giulio Tremonti avviene in un passaggio chiave della carriera del ministro dell’Economia. Dopo essersi accreditato con successo presso i poteri determinanti della nostra economia, il titolare di via Venti Settembre ha ora altri e ben più ampi orizzonti: il Vaticano, Bruxelles e Washington oltre a quella Cina dove si vanta di tenere conferenze alla scuola del partito comunista. Così, questo ex ufficiale della Guardia di finanza, diventato il suo braccio destro, stava diventando un motivo di imbarazzo proprio mentre non serviva più. Solo che proprio il pericoloso scontro che si apre ora ai vertici delle Fiamme gialle – dopo la deposizione di Milanese contro il capo di Stato Maggiore della Finanza Michele Adinolfi, indagato per fuga di notizie all’interno dell’inchiesta sulla cosiddetta P4 – può servire da traccia per capire l’impatto che questa vicenda può avere sulle sorti cui il tributarista di Sondrio sembra avviato.

La premessa è che la Guardia di Finanza dipende direttamente dal ministro dell’Economia e ha gestito, o ha avuto un ruolo, nella maggior parte delle inchieste chiave di questo Paese, negli ultimi anni. Partendo da Parmalat, per finire ad Antonveneta, ma passando anche per la vicenda D’Addario, che di per sé non sarebbe esattamente una storia economico-finanziaria. Un ruolo che definire delicato è dir poco. Non è un caso che una delle prime battaglie portate avanti da Vincenzo Visco – quando rientrò al governo come viceministro all’Economia con delega alla Finanza del governo Prodi – fu con l’allora comandante generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale, ora deputato del Pdl. Era il primo giugno del 2007 quando l’esito del conflitto finì con Visco che rimise le deleghe sulle Fiamme gialle, Speciale passò alla Corte dei Conti e il generale Cosimo D’Arrigo, all’epoca sottocapo di Stato maggiore della Difesa, prese il posto di Speciale. 

Ecco quindi un primo punto a cui si collega la vicenda Milanese. Adinolfi, anche lui uomo di centrodestra e legato ad ambienti vicino all’ex An, sembrava fino a ieri avere davanti a sé una strada spianata per sostituire il generale Nino Di Paolo, attuale Comandante generale della Guardia di Finanza. Il primo a venire dai ranghi della stessa Guardia di Finanza grazie a una legge del giugno 2010 che permette di mettere alla testa delle Fiamme gialle una figura proveniente dalla gerarchia interna. Uomo di grande esperienza, il mandato di Di Paolo scade l’anno prossimo e proprio Adinolfi era in pole position per prenderne il posto. Dopo l’attacco che gli ha sferrato l’ex commilitone Milanese, uno scontro così, ai vertici del Ministero, non era di sicuro tollerabile. E se il consigliere del ministro ha dovuto fare un passo indietro, anche questo alto papavero di Afragola (Napoli) è ora zoppo e i giochi per la successione a Di Paolo sembrano riaprirsi. In un contesto di regolamenti di conti interni che preoccupa e non fa presagire nulla di buono, soprattutto perché l’inchiesta è solo agli inizi e gli omissis nei verbali sembrano essere numerosi.

Milanese è descritto come un uomo di primo piano nel tenere i rapporti con il suo corpo militare d’origine e nel tentativo di mostrare che il fiscalista di Sondrio sa gestire partite complesse come sono stati gli scandali finanziari, e non solo quelli, di questi anni. Quando i giornali anglosassoni descrivevano Tremonti con una punta di perfidia come l’accountant-turned-finance minister («il commercialista diventato ministro delle Finanze» ma lo si può tradurre anche  con «il ragioniere») è sempre suonato terribilmente riduttivo alle ambiziose orecchie del titolare del Tesoro. Ma ora si può dire che questa prima fase del lavoro sia finita. Tremonti, cui un sondaggio di ieri attribuiva il 55% delle preferenze fra i possibili leader (molto distante dalla seconda posizione, il 42% di Emma Bonino), si è ben accreditato con i poteri nazionali e, ora che sta sempre più entrando nel grande gioco internazionale, il teatro in cui si muove è diverso. Non solo Milanese non era più necessario ma, anzi, visto il suo precedente coinvolgimento in un’altra inchiesta napoletana – quella del pm Vincenzo Piscitelli su un presunto giro di frodi fiscali – rischiava di essere una zavorra. E quindi kaput

A Napoli sono infatti in corso due inchieste su due personaggi chiave. Una su Luigi Bisignani, da sempre ufficiale di collegamento dell’entourage di Gianni Letta, e una, appunto, che vede indagato Milanese per corruzione. Agli inizi sembrava che i due filoni avrebbero indebolito entrambi, sia Letta, nelle sue ambizioni quirinalizie, che Tremonti, nei suoi sogni di premiership. Adesso che Milanese è entrato anche nella P4, dove invece non è indagato, si racconta quello che si racconta di Bisignani, che millantasse un potere ben al di sopra della realtà: «Visto che parlare con Tremonti è difficile, allora molti parlavano con Milanese avendo l’impressione che a decidere fosse lui, ma così non era. E non ha neppure le competenze per farlo, per quanto stesse cercando di accumulare lauree. A Roma è pieno di questi personaggi» dice un alto dirigente del Pdl. Una descrizione non troppo diversa da quella formulata spesso per Bisignani.

Certo, quando scoppiano le grane minimizzare è una tentazione  irrefrenabile e solo col tempo capiremo la reale portata di queste figure e di queste inchieste. Ma, in questo quadro, non sembra che la previsione iniziale sia stata fin qua corretta. L’impatto delle investigazioni sul mondo che gira attorno al sottosegretario alla Presidenza del consiglio, già indebolito dalle vicende Bertolaso e Geronzi, sembra fin qui ben diverso da quello che sta avendo sull’orbita che grava attorno all’ex Treviglio boy. Il quale, dopo aver messo un uomo a lui vicino come l’ex sottosegretario all’Economia Giuseppe Vegas in Consob, punta a ripetere la stessa operazione in Bankitalia con la nomina dell’attuale direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli. Una manovra non così scontata come la si racconta, visto la grande concentrazione di potere che comporterebbe. Ma in un’economia tremontizzata, e salvo altre sorprese giudiziarie, il successore di Quintino Sella sembra uscire tanto impensierito dallo scontro nelle Fiamme Gialle, quanto rafforzato dall’uscita di scena di un consigliere che stava diventando troppo ingombrante. Ora che finalmente è solo finance minister, e sono per lo più cadute le altre definizioni così limitanti, non si poteva certo rimanere attaccati a un Milanese qualsiasi.  

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