«Nel complesso, la situazione nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi rimane molto grave».Non usa giri di parole l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) nel briefing presentato il 2 giugno sullo stato della sicurezza nucleare in Giappone. Il motivo, secondo la squadra di esperti dell’Aiea, è che il Giappone ha sottovalutato il rischio tsunami che ha causato la crisi nucleare. Nella relazione preliminare si legge che il Paese non aveva considerato a dovere la minaccia tsunami per diversi impianti nucleari, tra cui appunto Fukushima Daiichi, quello più colpito e danneggiato.
Il rischio tsunami sarebbe stato valutato male per alcune delle 54 centrali giapponesi e non solo a Fukushima. «Le onde dello tsunami – si legge nella relazione preliminare – ha travolto le difese dell’impianto di Fukushima Daiichi, studiate solo per resistere ad un massimo di 5,7 metri di altezza. Le onde più grandi che hanno inciso in questa struttura in quel giorno sono stimate ad oltre 14 metri di altezza. Lo tsunami ha raggiunto le zone profonde all’interno delle unità causando la perdita di tutte le fonti di energia ad eccezione di un generatore diesel di emergenza, senza alcuna significativa fonte di energia disponibile per l’accensione e spegnimento del sito, e poca speranza di assistenza esterna. Il blackout e l’impatto dello tsunami ha portato alla perdita di tutti i sistemi di strumentazione e di controllo nei reattori 1-4, con uno scenario di emergenza senza precedenti, senza alcun potere, di controllo del reattore o strumentazione, e oltre a questo, gravemente colpiti i sistemi di comunicazione sia all’interno che esterne al sito».
La conseguenze drammatiche del muro d’acqua che si è abbattuto sulla centrale nucleare le rende note la stessa Tepco, la società elettrica giapponese proprietaria dell’impianto: alti livelli di radiazioni sono stati rilevati a Fukushima Daiichi, un robot nel sito del reattore 1 ha rilevato (ancora il 3 giugno scorso) fino a 4mila millisievert per ora nella zona sud-est dell’edificio. Per un confronto i cittadini evacuati della città ucraina di Cernobyl, dopo il disastro della centrale del 26 aprile 1986, furono esposti ad una dose di 3.500 millisievert.
E dopo l’incubo radiazioni arriva anche la paura per il plutonio. Una piccola quantità di plutonio è stata rilevata fuori dall’impianto di Fukushima, per quella che è considerata dagli esperti come la prima volta in assoluto da quando è scoppiata la crisi nucleare. È il risultato delle ricerche fatte da Masayoshi Yamamoto, professore dell’università di Kanazawa, secondo cui il livello del plutonio trovato nei campioni di terreno prelevati nella città di Okuma, a circa 1,7 km dal cancello principale della centrale, è inferiore al livello medio di plutonio osservato dopo i test delle bombe nucleari. In Giappone le quantità di plutonio registrate finora erano infatti collegate al rilascio di materiale radioattivo dovuto a esperimenti con ordigni nucleari, come nel caso di quelli fatti dalla Corea del Nord.
In base alle ricerche del professor Yamamoto, è stata effettuata la comparazione delle proporzioni di 3 tipi di isotopi di plutonio, grazie alla quale è stata determinata l’origine della fuga di radiazioni dalla centrale di Fukushima, dove i reattori 1-2- 3 hanno subito pesanti danni, inclusa la fusione parziale. Il reattore n.3, in particolare, funzionava con una pericolosa miscela composta da uranio e plutonio. I campioni di suolo raccolti intorno alla centrale sono stati prelevati da un team di ricercatori dell’Università di Hokkaido prima del 22 aprile, secondo quanto riferito da Yamamoto. Rimane in vigore il divieto assoluto di accesso imposto dal governo di Tokyo nel raggio di 20 km dall’impianto.