Una settimana lunghissima per la Popolare di Milano. In attesa dell’assemblea di sabato, che dovrà approvare l’aumento di capitale monstre da 1,2 miliardi di euro, oggi Piazza Meda alza la posta, querelando il vicedirettore del Giornale Nicola Porro e minacciando un’analoga azione legale nei confronti di Luigi Zingales, editorialista del Sole 24 Ore. Il secondo, in un intervento apparso ieri sul quotidiano di Confindustria, ha chiesto esplicitamente il commissariamento dell’istituto guidato da Massimo Ponzellini, sostenendo che: «una banca che non segue sempre rigidamente le regole nel concedere i prestiti, sbaglia a conteggiare i mutui e rifila i propri titoli (rischiosi) ai clienti inconsapevoli deve essere fermata. In un mercato competitivo sarebbe spazzata via dalla concorrenza. In un mercato protetto, come quello bancario, deve essere commissariata». Dello stesso segno l’articolo di Porro, uscito una decina di giorni fa. L’incipit: «È inutile girarci intorno. Se la Banca Popolare di Milano fosse un’azienda normale oggi avrebbe due strade: portare i libri in tribunale o vendersi al migliore offerente a prezzi di saldo».
Valutazioni che non sono piaciute al board della decima banca italiana, che in chiusura di giornata ha ceduto il 7,39% sulla scia della revisione del giudizio sull’Italia da parte dell’agenzia di rating Moody’s, dei timori di contagio della crisi greca sulle piazze europee e della smentita di un takeover da parte di Bper. Annullando i guadagni di venerdì scorso, quando – per via di alcune indiscrezioni, poi rivelatasi false, su un interessamento da parte del colosso transalpino Bnp Paribas – il titolo aveva chiuso a più 12 per cento, a quota 1,75 euro per azione.
Un 2011 molto difficile per la banca “leghista” (Bossi definì Ponzellini «l’amico della Lega alla Popolare di Milano»): in un anno (year to date) il titolo ha perso quasi il 57%, è arrivata l’ispezione di Bankitalia e la partenza del direttore generale Fiorenzo Dalu, sostituito dall’ex condirettore generale dell’area finanza Enzo Chiesa, e la riorganizzazione della governance con un incremento da 2 a 5 del numero massimo delle deleghe di voto, per aumentare la contendibilità.
Sul fronte del business, è stato ceduto l’81% di Bipiemme Vita alla francese Covea per 243 milioni, ma rimane sul tavolo la questione del rimborso del convertendo, che ha prezzi di carico quintupli rispetto alle quotazioni attuali, e dei Tremonti Bond, per un totale che sfiora il miliardo di euro (rispettivamente 400 e 500 milioni), e dunque più dell’attuale capitalizzazione di Bpm (circa 650 milioni di euro), da rimborsare entro il 2013.
La questione più spinosa, numeri a parte, riguarda la governance. Come ha scritto ieri Zingales sul Sole: «Senza la pressione del mercato, una Popolare può rimanere inefficiente danneggiando tutti tranne che i suoi dirigenti. In questo caso Banca d’Italia non si deve limitare a intervenire suggerendo aumenti di capitale (che non fanno altro che allungare l’agonia), ma deve intervenire sul gruppo dirigente». La questione del voto capitario, particolarmente rilevante in Piazza Meda, dove dai soci-dipendenti “Amici della Bpm” dipende la maggioranza del Cda – con l’esclusione degli istituzionali non superiori al 5% del capitale – rimane sul tavolo in attesa di sabato.
Nelle ultime Considerazioni finali da governatore di Bankitalia, Mario Draghi non ha usato mezzi termini per inquadrare la situazione: «Alle banche popolari quotate servono regole per un controllo più efficace dell’operato degli amministratori, un maggiore coinvolgimento degli azionisti in assemblea anche mediante deleghe».
Nonostante i tentativi di chiudere la bocca ai commentatori per vie legali, il mercato ha già dato il suo giudizio su Bpm. Alla banca, durante l’assemblea di sabato, non resta che fare un passo in avanti per dimostrare che Piazza Affari si sbagliava. E al mercato in nessun caso si potrà rispondere a suon di querele.