La trattativa tra Lega e Berlusconi sulla “delocalizzazione” di ministeri e dipartimenti prosegue. È ignoto quale sarà l’artificio politico con cui il Governo troverà la cosiddetta “quadra”. Ciò che appare chiaro, come ha evidenziato la nostra indagine, è che la riorganizzazione non sarebbe in nessun caso a costo zero per le casse dello Stato. Altri annunci leghisti di questa legislatura, peraltro, promettevano invece di risparmiare soldi e tempo utilizzando al meglio la macchina burocratica.
È il 28 ottobre 2009, quando Roberto Calderoli, ospite a “Otto e Mezzo”, annuncia a milioni di telespettatori: «a fine mese succederà una cosa che non è mai successa in Italia: cadrà la ghigliottina sugli enti inutili che non si sono ristrutturati, non hanno chiuso, non hanno ridotto il personale e non hanno tagliato le spese». L’affermazione del ministro leghista segue di pochi mesi un’altra mirabolante dichiarazione, rilasciata il 17 luglio al Giornale: “scompariranno circa 34mila enti inutili, che bruciano risorse solo per sopravvivere […], tutti con i loro presidenti, consigli di amministrazione. E spesso svolgono compiti che non spettano loro».
Ad oggi non è dato sapere quali siano questi 34 mila enti inutili, la cui lista sarebbe stata stilata nell’ambito di uno studio condotto dal governo un paio di anni fa e di cui, però, non v’è traccia. Abbiamo anche inutilmente chiesto informazioni al ministro Calderoli nelle scorse settimane.
Il poderoso progetto di “potatura” annunciato dal ministero della Semplificazione non sta però andando nella direzione auspicata. Ad oggi, leggi approvate alla mano, gli enti soppressi sono stati poco più di 20, per l’esattezza 24, come descritto nella legge 122/2010. In termini percentuali Calderoli ha tagliato lo 0,06% degli enti inutili censiti dal suo Governo. Se si vanno ad esaminare i singoli casi, in realtà, per non pochi di essi, si è trattato non già di una definitiva eliminazione, ma di un mero spostamento delle relative attribuzioni ad altro ente.
Come ad esempio nei casi dell’Ipsema (Istituto di previdenza per il settore marittimo), dell’Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro), dell’Enam (Ente nazionale di assistenza magistrale), dell’Ias (Istituto affari sociali), dell’Enappsmsad (Ente nazionale di assistenza e previdenza per i pittori e scultori, musicisti, scrittori ed autori drammatici), dell’Isae (Istituto di studi e analisi economica), dell’Insean (Istituto nazionale per studi e esperienze di architettura navale), dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali; le relative funzioni risultano trasferite ad altri enti (Inps, Inail, Enpals, Isfol, Istat, Cnr, ministero dell‘Interno), le cui dotazioni organiche, come recita l’articolo 22 della legge 122/2010 “[…] sono incrementate di un numero pari alle unità di personale di ruolo trasferite in servizio presso gli enti soppressi”.
Fa poi un certo effetto vedere come per l’Ente italiano montagna (Eim) – la cui attività era oscura ai più – sia stato previsto un trattamento di tutto favore. Recita un comma dell’articolo 22: “la Presidenza del Consiglio dei Ministri succede a titolo universale al predetto ente e le risorse strumentali e di personale ivi in servizio sono trasferite al Dipartimento per gli affari regionali della medesima Presidenza”. Ciò, immaginiamo, con gran sollievo per il suo direttore generale, che dunque continuerà a percepire ogni anno la bellezza di 126 mila euro.
Per altri enti, invece, la soppressione ha prodotto il miracoloso effetto della trasformazione societaria e della propria allocazione in altri organismi. È il caso, ad esempio, della “Stazione sperimentale per i combustibili”, divenuta azienda speciale della Camera di Commercio di Milano, al pari della “Stazione sperimentale per la seta”, che proprio in questi giorni seleziona nuovo personale; o della “Stazione Sperimentale per le Industrie delle Essenze e dei Derivati dagli Agrumi”, che a sua volta ha acquisito lo “status” di azienda speciale della Camera di Commercio di Reggio Calabria; o ancora del padano “Banco nazionale di prova per le armi da fuoco portatili e per le munizioni commerciali”, ora ospitato dalla Camera di Commercio di Brescia.
Insomma un quadro tutt‘altro che brillante, quello che emerge dall’attività messa in campo sul fronte del taglio di enti inutili da Calderoli; il quale, probabilmente non a caso, non tocca pubblicamente da diversi mesi l’argomento. Cosicché, almeno fino al prossimo Governo, potranno dormire sonni tranquilli dirigenti e dipendenti di tanti, tantissimi enti indicati dalla Corte dei Conti di assoluta inutilità. Tra questi sono degni di nota la Cassa soccorso azienda tranvie autobus Comune di Roma (Atac), la Cassa nazionale malattia gente dell’aria, l’Istituto nazionale per le case degli impiegati dello Stato, l’Opera nazionale di assistenza all’infanzia delle regioni di confine, l’Ente nazionale per l’addestramento dei lavoratori del commercio, l’Ente nazionale lavoratori rimpatriati e profughi, l’Ente Colombo ’92, la Cassa conguaglio zucchero, l’Associazione nazionale controllo combustione
Calderoli da tempo preferisce dedicarsi alla meno complicata ma pur sempre ostica mission di semplificare la farraginosa normativa. In quest’ambito il ministro ha prodotto risultati incoraggianti: 411 mila atti amministrativi cancellati per un risparmio calcolato in 850 milioni di euro. Cifra che peraltro rappresenta una goccia rispetto ai miliardi di euro che probabilmente lo stesso Calderoli ha sognato di far risparmiare alle finanze pubbliche chiudendo definitivamente migliaia di organismi superflui ed inefficaci, di cui si nutre il sottobosco della politica.
Va detto che sul fronte della soppressione di enti inutili, quello di Calderoli e del Governo Berlusconi è l’ultimo di una serie di insuccessi, che attraversano 55 anni di storia politica. È del 1956 la prima legge organica sulla liquidazione e soppressione degli enti pubblici. Produsse ben pochi risultati, tra cui “spiccano” la liquidazione del “consorzio provinciale tra macellai per le carni di Napoli” e i 48 anni necessari per chiudere le “Linee aeree transcontinentali italiane” volute dal Duce. Anche perché, come evidenziato più volte dalla Corte dei Conti in questi anni, la legislazione sulle procedure di liquidazione è cambiata troppo e troppo spesso: addirittura più di 20 volte dal 1956. E poi la previsione dell’attribuzione della delega al Governo ad individuare gli enti da sopprimere si è rivelata fino ad oggi fallimentare, come dimostrano le esperienze del governo Berlusconi II (2001) e del governo Prodi II (2007). Senza considerare che le società che si sono susseguite nel tempo, deputate a liquidare gli enti inutili, si sono dimostrate tutt’altro che efficaci. Come l’Ispettorato generale per gli affari e per la gestione del patrimonio degli enti disciolti (Iged) che chiude per debiti ed inefficienze, a partire dai costi per il personale, saliti nel biennio 1998-2000 da 85 a 224. L’Iged viene sostituito nel 2002 da Fintecna, controllata al 100% dal ministero dell’Economia, i cui dominus incontrastati, dal 1993, sono Maurizio Prato e Pierpaolo Dominedò, rispettivamente amministratore delegato e direttore generale.
Fintecna eredita da Iged 148 pratiche di liquidazioni societarie, di cui ne restano in piedi ancora un centinaio. I bilanci di Fintecna non sono particolarmente positivi. Scrive la Corte dei Conti in merito all’ultimo bilancio approvato lo scorso anno: «anche alla fine dell’esercizio in esame come per il 2007 e 2008, in base ai dati di sintesi, la gestione di Fintecna si caratterizza per la contrazione di quasi tutte le voci; peggiorano, in particolare, il valore della produzione (-78,3%) per il brusco calo della voce “altri ricavi e proventi”, il saldo tra valore e costi della produzione (-108,8%) nonché il saldo tra proventi e oneri finanziari».