«Lo stato dell’Unione europea non è poi così male, ma l’umore al suo interno non è buono». Con queste parole il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha parlato dell’attuale condizione dell’Ue. Difficile non ripensare alla lettera aperta di una settimana fa scritta dai tre capigruppo del Parlamento europeo Joseph Daul (Ppe), Martin Schulz (S&D) e Guy Verhofstadt (Alde), in cui sono state evidenziate le tre verità incontrovertibili dell’attuale assetto dell’Ue: senza euro non c’è integrazione, basta alle soluzioni di giornata per la crisi del debito sovrano e stop ai movimenti euroscettici.
Il clima di Bruxelles inizia a farsi rovente. Il giorno dopo l’approvazione del maxi piano di austerity della Grecia, sono sempre più negative le opinioni degli addetti ai lavori fra Parlamento e Commissione. Se è vero che, almeno per ora, Atene sembra essere sul punto di ricevere i 12 miliardi di euro della quinta parte del programma di salvataggio varato nel maggio 2010, è altrettanto vero che tutta la bagarre in ambito Ue in corso sta minando le fondamenta dell’Ue stessa. A spiegarlo con decisione sono stati Daul, Schulz e Verhofstadt. È stata infatti la prima volta che i capigruppo di Partito popolare europeo, Socialdemocratici e liberaldemocratici si sono uniti per una missiva comune destinata a fare storia per il tenore delle dichiarazioni.
«Al di là dalle nostre differenze politiche, noi, presidenti dei gruppi Ppe, S&D e Alde al Parlamento Europeo vogliamo dare l’allarme sulla crisi di fiducia che attraversa i nostri paesi». Così, i tre politici, seppur divisi nei seggi del Parlamento, hanno commentato lo scenario odierno, riaffermando che «i 500 milioni di europei non usciranno vincenti da questa crisi se non rafforzando la loro coesione e smettendo di giocare ognuno per sé». Parole pesanti, mai utilizzate prima, specie in un contesto come quello europeo. A stupire è la nuova percezione di instabilità, rimarcata più volte sotto il profilo economico-finanziario negli ultimi quattro anni dal presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet.
I tre capigruppo spiegano che è la consapevolezza a rendere possibile un futuro all’Unione europea. Sono tre i punti su cui premono Daul, Schulz e Verhofstadt, che loro chiamano «le tre verità». La prima riguarda la moneta unica: «Non c’è euro senza integrazione economica». In un momento storico in cui la sovranità monetaria dell’Eurotower è minata da indiscrezioni che vogliono l’imminente uscita dall’euro di una nazione, vedi la Grecia, i tre portano avanti la loro proposta. «Gli europei si trovano di fronte a una scelta chiara: se vogliono mantenere l’euro, essi devono decidersi a far convergere le loro politiche economiche, vale a dire, le politiche di bilancio, fiscali e sociali», scrivono. In altre parole, l’apertura piena e totalitaria alla creazione di un ministro delle Finanze europeo o, in alternativa, di un concreto coordinamento della gestione economica degli Stati membri.
La seconda verità verte sull’efficacia delle soluzioni alle criticità. «Bisogna giocare a carte scoperte e smetterla di bluffare. Mentre imperversa la più profonda crisi che l’Europa abbia visto fin dalla sua creazione, cresce la tentazione di accontentarsi di soluzioni di giornata, rimandando a domani quello che oggi si potrebbe risolvere ad un prezzo minore», spiegano i tre capigruppo. E queste frasi, una settimana prima del voto ad Atene, ora assumono tutto un’altro significato. Mentre impazza l’epidemia della crisi europea dei debiti sovrani, a Bruxelles ci si chiede se un piano da 28 miliardi di euro di tagli e 50 miliardi in privatizzazioni possa bastare a contenere l’emergenza. Questa infatti è ben più grave del previsto e, sebbene la reazione dei mercati all’austerity sia stata positiva, il peggio non è ancora passato. Sopra l’eurozona ballano i 340 miliardi di euro di debito ellenico, potenzialmente in grado di scatenare un effetto domino devastante per la stabilità dell’euro.
Terza e ultima verità è che «l’Unione fa la forza». Sì, l’attuale congiuntura economica sta facendo tornare in mente a più persone che, forse, senza Europa si sarebbe stati meglio. Eppure, i tre parlamentari spiegano che « L’Ue è la migliore arma possibile affinché l’Europa politica divenga una realtà e sia in grado di influenzare la scena mondiale». L’impressione è che sia una mera presa di coscienza del crescente sentimento antieuropeista che sta nascendo in seno a sempre più Stati membri, piuttosto che una soluzione a un problema condiviso.
Dello stesso tenore è il discorso sullo Stato dell’Unione di Van Rompuy. Il presidente del Consiglio europeo ricorda in più occasioni che, in questo momento storico, bisogna ritrovare lo spirito dei Padri fondatori dell’Ue. Secondo lui, parlando di Grecia e instabilità finanziaria nell’Eurozona, occorre avere «il senso delle proporzioni», dato che a tutt’oggi l’Ue è un «potente blocco politico ed economico». Anche in questo caso, tuttavia, resta l’amarezza di fondo. Van Rompuy parla di «rivitalizzare il Sogno europeo», citando infine Antoine de Saint Exupéry. L’indomani dell’ennesimo capitolo della tragedia greca, certo non l’ultimo, c’è da sperare che all’Ue non rimangano solo più i sogni, ma anche le certezze.