Contro la pirateria online l’America richiama all’ordine e il parlamento spagnolo risponde compatto. A febbraio dall’assemblea legislativa spagnola è infatti uscita una delle leggi più criticate e odiate degli ultimi anni, la ormai famigerata “Legge Sinde”, dal nome del ministro della cultura Angeles Gonzalez Sinde, il principale sponsor.
Il testo prevede la chiusura – previa denuncia – dei siti internet spagnoli che pubblicano o linkano materiale protetto da copyright senza aver pagato i diritti. Vale a dire potenzialmente la quasi totalità delle pagine web. Perché è raro che blog, siti personali e piattaforme di social network paghino per pubblicare una foto o un brano musicale protetto. Contro la Sinde – che non è esattamente una legge quanto una serie di modifiche di leggi e normative precedenti – si sono sgolati in tanti: giornalisti, blogger, gli Indignados che dalle scorse settimane hanno invaso le piazze di mezza Spagna. E pochissimi politici, visto che il testo è stato approvato quasi all’unanimità.
Cosa c’entra l’America? Secondo alcuni cablo resi pubblici grazie a Wikileaks, sul tema della pirateria gli Stati Uniti tengono il fiato sul collo della Spagna almeno dal 2004. Il paese iberico è infatti uno dei paradisi del peer-to-peer ed è tutt’oggi nella lista nera (stilata dal Congresso di Washington) insieme a Cina, Ucraina, Canada e Russia.
La pressione per far approvare al governo Zapatero una legge più restrittiva è arrivata da ogni direzione: l’ambasciatore, il numero due del commercio estero Usa e soprattutto la Motion Picture Association, la potentissima lobby che rappresenta le major di Hollywood. Gli interlocutori scelti dagli americani sono di primissimo piano, bastano due nomi: la vicepresidente Maria Teresa Fernandez De la Vega e il leader dell’opposizione Mariano Rajoy. Tutti d’accordo su un punto: in Spagna si scarica troppo e troppo facilmente, bisogna mettere un freno. I negoziati sottotraccia sono andati avanti fino all’approvazione della Sinde. Ma l’attenzione dell’America non si è attenuata, tanto che la Spagna, dopo alcuni mesi, è tornata nella black-list.
Oltre al principio di massima (anche l’Onu ha recentemente affermato che disconnettere gli utenti internet è una pratica allarmante anche se si viola il copyright) sono due gli aspetti della Sinde che hanno fatto infuriare una parte dell’opinione pubblica spagnola. Il testo attribuisce al ministero della Cultura il ruolo di difensore delle case discografiche: è compito di una commissione ministeriale (la Comisión de Propiedad Intelectual) stabilire se un sito debba essere chiuso o no. Se la risposta è positiva, la commissione chiede l’avallo di un giudice. La decisione finale viene presa in un’aula di tribunale, ma su “ispirazione” governativa.
Il secondo punto debole della Sinde – secondo i critici – è ancora più pericoloso. Possono essere chiusi anche i siti web “suscettibili di causare un danno patrimoniale” ai proprietari di diritti di autore. Insomma, non è più necessario dimostrare che un sito abbia effettivamente causato un danno economico. Basta il rischio. Chi stabilisce questa “suscettibilità”? Chi assicura che non si tratti di censura preventiva? Sono le domande che si sono posti anche i blogger, giornalisti e professionisti firmatari del manifesto “in difesa dei diritti fondamentali su internet”. Un documento uscito a fine 2009, quando la legge era ancora agli albori, e che in tre giorni fu condiviso quasi 100.000 volte su Facebook. Il primo punto del manifesto dichiara che “i diritti di autore non possono prevalere sul diritto alla privacy […] e sulla libertà di espressione”.
Le proteste vanno avanti, ma il governo socialista non sembra avere voglia di ritoccare una delle poche leggi approvate con il consenso del Partido Popular, che nelle elezioni regionali del 22 maggio ha vinto quasi ovunque. Il lettore italiano potrebbe consolarsi osservando che per una volta il nostro paese non è in prima fila nel proporre leggi censorie. Ma in seconda fila sì, visto che nelle sale della nostra Agcom si sta per approvare una delibera-tagliola ispirata al modello spagnolo. Anzi, molto peggio. Visto che, secondo i piani dell’authority, per chiudere un sito non ci sarà bisogno né di un giudice né di stabilire l’effettiva violazione del diritto d’autore. L’oscuramento sarà automatico.