I conti amari dei giornali “amici di Silvio”

I conti amari dei giornali “amici di Silvio”

Liberi, forti e in mutande, anche fuor di metafora. L’ideatore è lo stesso, cioè il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, lo scopo è simile, difendere Berlusconi, ma i “mutandari” stavolta lo sono di fatto, e non solo di nome come lo scorso febbraio al Teatro Dal Verme. I giornali di centrodestra che questa mattina si sono ritrovati al cinema Capranica di Roma, dal Tempo a Libero, dal Foglio al Giornale, non sono un investimento remunerativo per i rispettivi editori. Non che i quotidiani di centrosinistra lo siano, anzi.

Guardando ai numeri, agli stati generali degli autodefiniti “servi del Cav”, è scesa in campo una potenza di fuoco pari a una tiratura media complessiva di 550mila copie (dati Prima Comunicazione febbraio 2011), e una linfa finanziaria da oltre 15 milioni di euro l’anno di contributi pubblici

Nell’ultimo bilancio depositato, relativo al 2009, la testata fondata a metà anni ’90 da Giuliano Ferrara, controllata da Veronica Lario e Sergio Zuncheddu, ha beneficiato di contributi per quasi 3,5 milioni di euro, cifra leggermente superiore nei due esercizi precedenti, 2007 e 2008, chiusi intascando non meno di 3,7 milioni di euro. Nel 2009 ha segnato 84.510 euro di perdite – decisamente meglio del buco da 165mila euro nel 2008 – a fronte di un fatturato di poco inferiore ai 5 milioni di euro (6.048.361 euro nel 2008). La tiratura (autocertificata) è pari a 50mila copie per vendite intorno alle 15mila, dicono a Linkiesta fonti interne al Foglio, mentre il bilancio 2009 parla di 62mila copie tirate e 4500 vendute. 

Il quotidiano diretto da Mario Sechi, di proprietà del costruttore Domenico Bonifaci, non iscrive a bilancio i contributi pubblici. Per la verità, nemmeno i ricavi sono facilmente intuibili. Dalle visure camerali risulta che nel 2009 la perdita registrata dal giornale romano è stata di 7mila euro. La diffusione, certificata da Ads (media mobile da marzo 2010 a febbraio 2011), in leggerissima crescita a 43.385 copie, a febbraio 2011, rispetto alle 43.232 del 2010, e vendite intorno alle 41mila.

Più difficile orientarsi nei numeri di Libero. La società editoriale, con il recente ritorno dell’ex direttore Vittorio Feltri, che con l’attuale direttore Maurizio Belpietro – investendo la modica cifra di 11 mila euro ciascuno – ha acquisito il 20% della compagine societaria, che vale 220mila euro ed è controllata all’80% dalla Fondazione San Raffaele. Una mossa studiata per fare uscire gli Angelucci dall’azionariato, lasciandogli però la proprietà del marchio “Libero”, detenuto dalla Tosinvest, la finanziaria di famiglia. Il tutto per evitare una multa da 103mila euro comminata a inizio febbraio dall’Agcom, per «l’omessa comunicazione dell’acquisizione del controllo sulle imprese editrici Editoriale Libero srl e Edizioni Riformiste Società Cooperativa protrattasi almeno dall’anno 2006 all’anno 2010». Una dimenticanza che è valsa milioni di euro di contributi pubblici. Lo scorso 26 aprile, la famiglia di imprenditori attivi nelle cliniche private si è rivolta al Tar del Lazio chiedendo l’annullamento della sanzione.

Nel 2009, ultimo bilancio depositato, i ricavi generati dal giornale diretto da Belpietro sono leggermente diminuiti sul 2008, da 45,9 a 44,4 milioni di euro. La società, negli ultimi 3 anni, ha sempre chiuso in nero (+11.700 euro nel 2009), nonostante un calo di vendite e tiratura (tra il 2010 e il 2011, rispettivamente, da 113 a 106 mila copie, e da 102 a 93mila), e aver beneficiato di contributi per 7,7 milioni di euro nel 2008 e 6 milioni nel 2009, in teoria congelati per via della querelle con il garante delle telecomunicazioni. 

Discorso simile per Il Giornale firmato da Alessandro Sallusti, che però vanta la copertura finanziaria della Mondadori. I numeri del gruppo editoriale di Segrate evidenziano che la Società Europea di Edizioni Spa, controllata al 36,9% dall’azienda presieduta da Marina Berlusconi, ha chiuso il 2010 con 69 milioni di euro di ricavi, ma utile netto negativo per 8,9 milioni di euro. La diffusione passa dalle 186mila del 2010 alle 182mila copie del 2011, ma le vendite crescono: dalle 176mila di un anno fa alle 180mila del febbraio 2011. Come si legge sui conti 2010, infine, «l’accantonamento dei contributi erogati dallo Stato in precedenti esercizi a valere sulla legge per l’Editoria n. 416 del 5/8/1981» ammonta a 4 milioni 187mila euro.

Il quadro dei giornali di centrodestra, insomma, non è esaltante. Tuttavia, una soluzione per incrementare le copie vendute ci sarebbe. Quando, nel 2006, il Corriere della Sera di Mieli appoggiò Romano Prodi, Libero e Il Giornale furono protagonisti di una crescita delle vendite a doppia cifra. Sarà meglio tifare per il Pd? 

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