“Il governo ha avuto difficoltà ad ascoltarci”

“Il governo ha avuto difficoltà ad ascoltarci”

«Il contratto di primo livello siglato da Fiat per il comparto auto può diventare un traino per attrarre altre multinazionali in Italia ed è un primo passo verso la riforma di un mercato del lavoro bloccato da troppo tempo». A quasi un anno di distanza dai referendum di Melfi e Pomigliano, Fabio Storchi, vicepresidente di Federmeccanica, riflette con Linkiesta sullo strappo di Marchionne. Sui ripetuti appelli di Emma Marcegaglia al Governo, Storchi va controcorrente: «Il ruolo di viale dell’Astronomia è portare avanti il dialogo con la politica sulla cultura d’impresa, sulla dotazione infrastrutturale e sulla competitività. Il supporto alle aziende spetta specialmente alle categorie e alle sedi territoriali».

In Italia Federmeccanica tiene insieme molteplici anime diverse, dall’aeronautica alle macchine utensili, dall’elettronica alla siderurgia. Non rendono ulteriormente difficoltosa la contrattazione?

Con la riforma dell’accordo interconfederale del febbraio 2009, fortemente voluto da Emma Marcegaglia, si è tentato di ammodernare il sistema delle relazioni industriali in un contesto economico e produttivo profondamente modificato dalla globalizzazione dei mercati. Oggi è stata disciplinata la possibilità di derogare rispetto alla contrattazione per rispondere ad esigenze particolari delle aziende, di definire norme specifiche per singolo comparto industriale, come quello dell’auto, e di effettuare contrattazioni di primo livello e sottoscrivere accordi aziendali, sostituitivi del Contratto collettivo nazionale, come ha fatto Fiat a Pomigliano e Mirafiori. Si va verso il tanto citato modello tedesco, dove la compresenza di contratti nazionali e di primo livello, stipulati direttamente dalle imprese, rappresenta un sistema di contrattazione sicuramente più flessibile rispetto al nostro. Federmeccanica ha sostenuto lealmente la riforma del modello contrattuale del febbraio 2009, condividendone lo spirito, anche se molti di noi erano perplessi e preoccupati per la mancata adesione all’accordo della Cgil e per il prevedibile ulteriore irrigidimento della posizione della Fiom che, come abbiamo successivamente verificato, non ha sottoscritto, con le altre sigle sindacali, il contratto dei metalmeccanici del settembre 2009. 

Il presidente di Federmeccanica Ceccardi è stato tra i primi in Confindustria a parlare di un contratto specifico per il settore auto all’interno del quadro normativo dei Metalmeccanici. Come è andata a finire?

Il tavolo contrattuale per il comparto auto è ancora aperto e nei prossimi giorni ci sarà un incontro tra Federmeccanica e Fim-Cisl e Uilm-Uil, per fare il punto sullo stato di avanzamento dei lavori e per programmare un nuovo calendario di incontri. Come noto, il tavolo è stato avviato nel dicembre 2010 e, durante la sua operatività, la Fiat ha deciso di stipulare un nuovo contratto di primo livello da applicare a Pomigliano e Mirafiori in sostituzione del contratto di lavoro metalmeccanico. Inevitabilmente l’attività del tavolo e l’agenda dei lavori sono state completamente sconvolte dalla nuova posizione Fiat.

Di fatto, Fiat vi ha rotto le uova nel paniere. 

La vicenda Fiat ha seguito un percorso difficile e complesso, che ha evidenziato le grandi complessità e difficoltà che l’industria dell’auto incontra sul mercato globale e che hanno consigliato all’azienda scelte e comportamenti ritenuti idonei ad assicurare successo al nuovo piano industriale noto come “Fabbrica Italia”. Il caso Fiat è inoltre emblematico della necessità di introdurre profonde innovazioni nella cultura e negli strumenti che regolano il sistema di relazioni industriali del nostro Paese. In particolare l’azione Fiat ha il merito di aver richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica su questioni rilevanti come la governabilità delle aziende, la flessibilità e l’esigibilità degli accordi sindacali.

Che significa “esigibilità”?

I contratti collettivi di lavoro hanno natura di contratti di diritto comune che, in quanto tali, impegnano solo i sindacati firmatari e sono quindi privi di efficacia erga omnes. È quindi sufficiente che una minoranza di lavoratori non sottoscriva gli accordi per rendere di fatto inapplicabile le clausole pattuite e di conseguenza ingovernabile l’azienda. Si rende pertanto necessario dare attuazione all’articolo 39 della Costituzione e di introdurre una legge che renda gli accordi sottoscritti validi per tutti, stabilendo con quale maggioranza debbano essere approvati. È la ragione per cui Federmeccanica, già dal settembre scorso, richiama con forza la necessità di un accordo sulla rappresentanza che stabilisca regole certe per i negoziati e per i contratti sottoscritti. La stessa questione è stata richiamata opportunamente dal governatore di Bankitalia Draghi nelle sue recenti considerazioni finali. 

Una bilancio della Confindustria targata Emma Marcegaglia. 

Emma Marcegaglia si è impegnata a fondo e con grande passione per interpretare al meglio le esigenze delle imprese in un periodo di profonda crisi. All’inizio, come molti imprenditori, ha fatto affidamento sulla forza del nuovo Governo di centrodestra e sulle riforme strutturali promesse in campagna elettorale; successivamente, nel pieno della crisi e in fase di contenimento del deficit pubblico, ha conseguito risultati importanti riguardo al finanziamento degli ammortizzatori sociali e alla moratoria dei finanziamenti bancari alle imprese. Purtroppo l’elevato debito pubblico del Paese e la difficoltà del Governo a raccogliere le istanze del mondo imprenditoriale non hanno consentito di ottenere risultati nella realizzazione delle riforme strutturali sperate e degli gli investimenti infrastrutturali così necessari al Paese per rilanciare, seppur parzialmente, l’economia nazionale depressa dalla crisi. Come conseguenza, il nostro Paese continua a essere caratterizzato da bassi tassi di crescita, unicamente trainati dalle esportazioni, mentre il mercato interno registra consumi stagnanti e diminuzione di potere d’acquisto. 

Non è che a furia di chiedere riforme al Governo Confindustria è diventata autoreferenziale?

Non credo che Confindustria possa attivare azioni che possano incidere in modo diretto sull’attività delle imprese associate. Al di là di iniziative di sistema come l’internazionalizzazione, il compito di Confindustria nazionale è quello di affermare la cultura d’impresa a livello diffuso, la centralità del merito in tutte le scelte strategiche del Paese e la necessità di dotare l’Italia di una vera politica industriale, che sono, a mio avviso, i nostri veri talloni d’Achille. Ritengo che il supporto più diretto alle imprese spetti alle associazioni di categoria e alle sedi territoriali che vivono relazioni di prossimità e sono in grado di rispondere con iniziative mirate alle specifiche esigenze operative degli associati. 

Come dovrebbe configurarsi Confindustria per avvicinarsi alle esigenze delle imprese? 

È opportuno, a mio parere, riformare il sistema, rendendolo più agile, efficiente e utile per le imprese. Va seguito l’esempio di semplificazione del Lazio, dove Confindustria regionale e le sedi territoriali hanno unito gli sforzi per ottimizzare le risorse e fornire supporto di rappresentanza più qualificato e servizi innovativi alle imprese. In sede territoriale vanno sviluppate azioni a sostegno dei cluster e dei distretti industriali presenti, in particolare nel processo di ridefinizione strategica degli stessi nell’epoca della globalizzazione, anche in sinergia con gli enti locali e le Camere di commercio. Questo aspetto assume rilevanza strategica per il futuro delle economie locali e per il Paese. Specialmente visto il peso crescente dei distretti industriali, che tanto bene hanno fatto all’economia italiana dalla metà degli anni ’80, quando il tessuto diffuso di piccole e medie imprese ha portato il made in Italy a primeggiare nel mondo. Va poi sviluppato un ampio network di servizi a favore delle micro imprese, che rappresentano oltre il 90% del nostro sistema, per supportarle nel difficile lavoro di riqualificazione delle loro attività e consentire loro di diventare nodi intelligenti delle filiere produttive di appartenenza assicurandogli capacità di crescita e di sviluppo futuro. 

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