Indagato per camorra il capo della Mobile anti-Saviano

Indagato per camorra il capo della Mobile anti-Saviano

NAPOLI – «Io faccio anticamorra dal 1991. Ho arrestato centinaia di delinquenti. Ho scritto, testimoniato… Beh, giro per la città con mia moglie e con i miei figli, senza scorta. Resto perplesso quando vedo scortate persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, carabinieri, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni. Non ho mai chiesto una scorta. Anche perché non sono mai stato minacciato. Anzi, quando vado a testimoniare gli imputati mi salutano dalle celle». 

Così parlava Vittorio Pisani; era l’ottobre del 2009 e Vittorio Zincone su Sette, come si dice in gergo giornalistico «aveva il titolo»: il capo della Squadra Mobile di Napoli, giovane poliziotto con un curriculum da primo della classe e già tanti successi alle spalle, attaccava pubblicamente uno dei simboli della lotta alla camorra di questi anni, l’autore di Gomorra Roberto Saviano.

In particolare Pisani metteva in dubbio l’utilità della scorta dello scrittore: «A noi della Mobile – raccontava – fu data la delega per riscontrare quel che Saviano aveva raccontato a proposito delle minacce ricevute. Dopo gli accertamenti demmo parere negativo sull’assegnazione della scorta». Oggi colui che mise le manette ai capiclan di Secondigliano e dei Casalesi è nei guai: indagato per favoreggiamento in favore di camorristi, è stato costretto (divieto di dimora in città) a far fagotto nel giro di poche ore e lasciare la Questura di Napoli. Fare cioè, quello che gli “consigliava” un altro giornale, la Repubblica, pochi giorni dopo quell’attacco a Roberto Saviano: «Pisani non può più restare a Napoli» scriveva in prima pagina Giuseppe D’Avanzo. «Perché un poliziotto competente come Vittorio Pisani, capo della squadra mobile di Napoli, si dà da fare per screditare in pubblico la credibilità dell’autore di Gomorra, perché lo fa in quel modo scaltro tra insinuazioni e notizie monche?».

Quella intervista, e le reazioni che seguirono, rappresentarono un primo spartiacque, “culturale”. Il mondo dell’anticamorra che vedeva di buon occhio Pisani non poteva però consentire un attacco frontale a Saviano, il suo idolo incontrastato. Da allora il poliziotto non ebbe più il consenso che pure aveva avuto in precedenza. Poi è accaduto dell’altro: lo scorso anno fu proprio Pisani a consegnare una informativa contro un tenente colonnello dei carabinieri, Fabio Cagnazzo, stimatissimo nell’ambiente, al pari di Pisani, comandante del nucleo operativo di Castello di Cisterna. Nell’informativa l’accusa per il militare era d’aver «agevolato» il clan degli Scissionisti di Secondigliano. Cagnazzo fu trasferito non senza polemiche e il secondo spartiacque, quello dei rapporti interni alle forze dell’ordine campane, era segnato.

La cronaca di oggi è intensa e ricca di particolari: il poliziotto viene tirato in ballo in una vasta operazione condotta dalla Dia, la direzione investigativa antimafia che ha portato al sequestro di beni per decine di milioni di euro. Fra questi, anche dei ristoranti chic del Lungomare partenopeo di cui era socio il calciatore Fabio Cannavaro. Per il giovane segugio dalle belle speranze, la voce che si leva in difesa è quella del capo della Polizia e suo punto di riferimento, Antonio Manganelli, che addirittura dagli Stati Uniti s’affretta a confermare «stima e fiducia». Però lo spartiacque è diventato grande come l’oceano: a prescindere dall’esito delle indagini, la favola dello sbirro napoletano duro ma giusto come il “Piedone” di Bud Spencer non esiste più. 

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