«Per i privati, meglio dare un contributo volontario al salvataggio della Grecia che avere un’esposizione al debito ellenico ogni giorno più rischiosa». È questo, per l’economista Mario Deaglio, il senso della proposta tedesca per evitare il default di Atene. Dopo il nulla di fatto dei giorni scorsi, i ministri delle Finanze comunitari riproveranno a delineare un nuovo pacchetto di aiuti il 3 luglio prossimo, mentre il premier Papandreou attende oggi il voto di fiducia del parlamento dopo il rimpasto di venerdì. Servirà? «La Grecia ha mentito sul debito, per questo andrebbe commissariata» afferma il professore di Economia internazionale all’Università di Torino.
Quali sono i pro e i contro di una partecipazione «volontaria» dei privati al nuovo fondo salva-grecia?
Diciamo che con il coinvolgimento volontario delle banche si avrebbe un danno “controllato” per il sistema invece che un danno incontrollabile, è questa la logica della proposta tedesca. Il contro è che, ad un certo punto, la situazione possa sfuggire di mano in ogni caso, ovvero le tensioni politiche nel Paese non consentano le riforme necessarie a garanzia del prestito europeo. In quel caso, le banche avrebbero pagato per niente.
Le banche coinvolte non rischierebbero un declassamento da parte delle agenzie di rating?
Sicuramente, ma direi che le banche sarebbero massacrate comunque. Il vero problema degli istituti di credito, soprattutto francesi e tedeschi, è nell’esposizione sulla Grecia, nel rischio di ritrovarsi in bilancio debiti sempre maggiori.
La crisi del debito greco si trasformerà in una crisi di liquidità?
Dipende dalle scadenze del debito. A differenza del Portogallo, la Grecia ha un accumulo di scadenze mensili, a partire da luglio. Tuttavia, il problema si porrà nei prossimi 18 mesi, non immediatamente, altrimenti al vertice Ecofin si sarebbero prese delle decisioni immediate, in 48 ore, senza aspettare. Dunque la crisi di liquidità per ora è un rischio non immediato.
Perché un anno fa la Bce riteneva di poter traghettare con sicurezza la Grecia fuori dalla crisi entro il 2013?
Non è stata la Bce a sbagliare i calcoli, ma i greci ad aver sempre mentito. I loro conti sono scritti in greco e per questo è estremamente difficile trasformarli in qualcosa di leggibile. Hanno mentito quando sono entrati in Ue sostenendo che il loro debito non andava conteggiato come tale ma come cassa avendo scadenza mensile ed essendo continuamente rifinanziato da Goldman Sachs. Oltretutto non hanno effettuato i tagli di bilancio previsti. Da un punto di vista europeo ritengo la soluzione migliore sia una gestione commissariale del Paese: c’è bisogno che ad Atene ci sia qualcuno “terzo” che certifichi i conti.
Se la Grecia fallisse, quanta crescita brucerebbe negli altri Paesi europei?
È molto difficile da dire, perché è una situazione in cui Bruxelles non si è mai trovata. Se i Paesi europei non la finanziassero e Atene andasse in default, avremmo un effetto di shock sulle banche creditrici, francesi e tedesche in primis. Molte Landesbank, le banche regionali tedesche, si ritroverebbero con i crediti superiori al capitale e dunque sarebbero costrette a ricapitalizzare, correndo il rischio di un declassamento da parte delle agenzie di rating, così come del debito tedesco, che inevitabilmente si innalzerebbe. D’altra parte, non ricapitalizzando il rischio è di ritrovarsi con il sospetto che tutte le banche che hanno rapporti con le Landesbank siano infettate da perdite nette da iscrivere a bilancio. Concordo con chi ritiene che sarebbe una nuova Lehman: l’azzeramento del valore dei bond greci implicherebbe perdite impressionanti.
Se la Grecia viene salvata, pagano i cittadini europei. Se partecipano i privati, le obbligazioni sottoscritte dalle banche per ricapitalizzarsi saranno sottoscritte dai cittadini europei. Come se ne esce?
In quanto siamo in un sistema monetario è evidente che a pagare siamo sempre noi, ma non credo che un fallimento di uno stato sovrano sarebbe indolore. Un ritorno alla dracma comporterebbe la possibilità di svalutare e il conseguente abbassamento del livello di vita sarebbe indotto dall’inflazione, che colpisce alla cieca, invece che da una politica di austerità impopolare decisa dal parlamento. Tuttavia, la situazione globale per le banche europee, qualora avessero in portafoglio bond denominati in dracme, non sarebbe poi così diversa da oggi.
Infine, un cenno a Moody’s, che ha posto l’Italia in negative outlook. Confindustria è tornata ad appoggiare Tremonti, in particolare sulla manovra, e da Pontida Bossi ha “solo” minacciato Berlusconi.
Non darei troppa importanza al giudizio di Moody’s. Il negative outlook significa un declassamento entro 18-24 mesi in assenza di riforme, un giudizio che ha colpito anche gli Usa. Resta il fatto che dobbiamo avere una finanza pubblica più credibile, perché ci sono delle forze – come una bassa crescita e un’economia che paga poche imposte sul debito – che potrebbero portarci fuori dai nostri parametri. Lo sapevamo. È uno dei filoni che va a confluire sul dibattito su come riprendere la via della crescita. A Pontida sono state presentate delle istanze, ma nessun programma. Nessun politico finora ha spiegato come trasformare dei desideri dell’elettorato in un programma politico. A parte Tremonti, più ministro delle Finanze che dell’Economia, che continua nel suo percorso per tenere a galla i conti, senza “bacchetta magica”.