La Germania sta ospitando i mondiali di calcio femminile, dopo che la sua nazionale ha vinto le edizioni del 2003 e del 2007. Le città tedesche si sono riempite di cartelli pubblicitari in cui si ricorda che «il terzo posto è roba da uomini», e invitano tutti a guardare le partite. I berlinesi hanno risposto compatti all’appello: alla partita inaugurale della nazionale, il 26 giugno, oltre 73.000 spettatori hanno assistito al 2 a 1 rifilato al Canada. Le strade erano piene di tifosi con la maglia della squadra, mentre sulle auto sono ricomparse le bandierine nero-rosso-oro festosamente nazionaliste.
Intendiamoci: siamo alla radice terza rispetto all’euforia ispirata dalla nazionale maschile. Ben poche persone conoscono il nome del capitano, Birgit Prinz, attaccante del Francoforte. Non ci sono televisioni all’aperto in ogni strada. C’è però un sentimento chiaro di partecipazione. A esser cinici, si potrebbe insinuare che i tedeschi stiano tentando di compensare con le donne ciò che non è riuscito loro con gli uomini. Sarebbe una spiegazione facile e “latina”, differente però dalla realtà: la Germania è fiera delle proprie calciatrici.
Si vede dai numeri: i praticanti tedeschi di calcio sono in tutto oltre 16 milioni, con le donne che stanno raggiungendo due milioni. In Italia i praticanti sono cinque milioni, e le donne sono poco meno di 300.000. L’Italia non si qualifica ai mondiali femminili dal 1999, nonostante buone prestazioni agli europei, e ben 24.000 donne tesserate.
Il calcio è solo un gioco, ma anche i giochi vogliono dire qualcosa. Quello del calcio femminile è lo specchio della condizione della donna nei vari paesi. Non è un caso se le nazionali femminili più forti al mondo sono anche quelle dei paesi in cui la partecipazione delle donne al lavoro è più alta: a parte la Germania, ci sono gli Stati Uniti, la Norvegia, la Svezia, il Canada e la Cina.
Le donne di questi paesi non hanno pregato per avere attenzione: se la sono presa e basta. Sono entrate nei campi di calcio e hanno preteso rispetto, al pari degli uomini. Adesso sono protagoniste di un evento mondiale con migliaia di spettatori, e milioni di televisioni accese. Non rinunciano alla propria sensualità, e non sono “tutte lesbiche” come si ama ripetere nei bar, come se fosse un insulto. Il calcio femminile è un’esplosione di modernità, molto più giovane e aggressivo di quello maschile: quello degli uomini è certamente un calcio più spettacolare, ma non per questo le emozioni di una nazione sono spente se a giocare è una donna.
È anche da “piccole” cose come il calcio che possono nascere le rivoluzioni. Lo sa bene Steffi Jones, presidentessa del comitato organizzatore dei mondiali in Germania. Nata da un soldato afroamericano di stanza in Germania, è stata cresciuta dalla madre in un quartiere degradato di Francoforte. Dei suoi due fratelli, uno ha avuto problemi di droga, e l’altro ha perso entrambe le gambe in Iraq cinque anni fa. Steffi ha giocato a calcio senza mai guardarsi indietro, e adesso è a capo del mondo del pallone femminile, con orgoglio e personalità.