Atene sprofonda sempre più nell’abisso. Standard & Poor’s ha deciso di declassare il giudizio sul debito sovrano ellenico da B a CCC, ultimo baluardo prima della D di fallimento di fatto. Una mossa che lascia intendere, proprio alla vigilia della riunione dell’Eurogruppo, che il mercato ha già deciso quale sarà il destino della Grecia. Nonostante le raccomandazioni alla calma di Bruxelles e Francoforte, il clima degli operatori finanziari si è fatto rovente, a tal punto che il costo dei Credit default swap (Cds), i derivati che proteggono dall’insolvenza, ha raggiunto il suo massimo storico a oltre 1.700 punti base. Questo è il sintomo di una situazione sempre più drammatica, sia per Atene sia per l’eurozona.
L’azione di Standard & Poor’s non deve stupire, dato che era nell’aria già da tempo. Nelle motivazione, la società newyorkese ha spiegato che è «presumibile che possano arrivare uno o più default». Il riferimento va subito alle esigenze di rifinanziamento di Atene. È quindi possibile che la Grecia non sia in grado di riuscire a collocare nuovi bond da qui al 2014. Nello specifico, S&P mette in forse i 95 miliardi di euro di debito pubblico in scadenza fra oggi e il 2013 e gli oltre 58 miliardi che andranno rimborsati nel corso del 2014. Contestualmente, spiega anche che il sistema bancario è ormai al collasso. L’agenzia di rating ha infatti optato per il downgrade anche delle quattro principali banche del Paese: National bank of Greece, EFG Eurobank Ergasias, Alpha bank e Piraeus bank, il cui giudizio è stato portato a B. Ma non c’è solo questo fra i motivi del taglio al rating. Hanno inciso, spiega S&P, soprattutto i fondamentali economici. L’ultimo dato sulla disoccupazione, passata dall’11,6% del maggio 2010 al 16,1% dello scorso mese, non lascia presagire una ripresa imminente. E preoccupa anche l’andamento del debito pubblico, valutato oltre quota 160% del Pil già nel corso di quest’anno.
Ora bisogna capire quale sarà la prossima mossa. Da un lato la Banca centrale europea (Bce) vuole evitare che si parli di fallimento, dall’altro la Germania vuole che ci sia un intervento di investitori privati nel salvataggio di Atene. In mezzo, tuttavia, c’è il debito ellenico, circa 340 miliardi di euro. Standard & Poor’s non esclude un altro downgrade a breve, fino a D, se dovesse arrivare un reprofiling, ovvero un riscadenzamento del debito. In pratica, bocca l’idea del ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che la scorsa settimana aveva parlato di «prolungamento di sette anni per tutti i bond emessi dalla Grecia». Secondo l’analisi di S&P, tuttavia, è già prevedibile ora, sempre che non peggiori la situazione e il contagio ellenico aumenti, un haircut compreso fra il 50 e il 70% del valore nominale delle emissioni obbligazionarie di Atene. «Stimiamo che in media gli investitori possano recuperare fra il 30 e il 50% della somma investita inizialmente», spiega la società di rating nella nota. Le ipotesi di rientro in caso di default sovrano sono quindi allineate con quelle di Citi e Goldman Sachs, che nelle ultime settimane avevano avanzato visioni analoghe sui tagli.
Sebbene la notizia di S&P sia arrivata a mercati chiusi, quest’ultimi sono stati sotto pressione per tutta la seduta. I Cds su Atene hanno toccato il massimo storico a quota 1.757,28 punti base sulla piattaforma Cma Vision. Vale a dire che occorre sborsare 1,757 milioni di dollari l’anno per assicurarsi contro l’insolvenza di un titolo di Stato ellenico del valore di 10 milioni, con scadenza quinquennale. Ma è cresciuta anche la percentuale implicita di fallimento nell’arco di cinque anni, o CPD, ora data al 73,55 per cento. Di riflesso, anche il differenziale di rendimento fra i bond greci e i corrispettivi tedeschi, storico parametro di stabilità, è schizzato al rialzo, registrando uno spread di 1.427 punti base. Stesso destino per i mercati secondari degli altri Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna): per tutti, tranne il nostro Paese e Madrid, sono stati ritoccati al rialzo i record.
Ora la passa passa alla politica. Nel caso non si arrivasse a una soluzione veloce e condivisa, anche se tranchant come quella del fallimento, il giudizio dei mercati potrebbe essere ancora più negativo. I tentativi di placare la furia ribassista non stanno servendo. L’ultimo in ordine temporale è stato quello del segretario generale dell’Ocse Angel Gurria. Parlando da New Delhi, ha spiegato di non ritenere che «altri Paesi si aggiungeranno a quelli che stanno chiedendo aiuto all’Unione Europea e al Fondo monetario internazionale». Un’ora dopo, è giunto il downgrade di Atene, l’ultimo prima del default. E, con esso, il rischio che la crisi europea dei debiti sovrani si espanda in modo virulento all’eurozona.