In principio fu la finanziaria del 2001: in quell’anno il Governo ha fatto un grosso regalo all’emittente del Carroccio, nata a Varese (città di Umberto Bossi e Roberto Maroni) nel 1990 dalle ceneri di Radio Varese come voce del movimento nato da appena un anno. «Umberto Bossi aveva deciso di scendere in campo guardando all’informazione del futuro» scrive nel sito della radio la responsabile dei notiziari Giuliana Bortolozzo, e il futuro è stato roseo per la società cooperativa Radio Padania Libera.
Nel 2001 era appena tornato al potere, un emendamento alla finanziaria – presentato dal deputato leghista Davide Caparini – ha fatto fare il salto di qualità alla voce della Lega Nord. Ecco l’articolo 74: «Fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica, i soggetti titolari di concessione radiofonica comunitaria in ambito nazionale sono autorizzati ad attivare nuovi impianti». Bingo per l’emittente di via Bellerio che, insieme a Radio Maria, è l’unica emittente considerata «radio comunitaria», cioè senza scopo di lucro (in un’ora di trasmissioni non possono superare il 5% di pubblicità), emittenti che producono contenuti culturali, etnici e religiosi per aree geografiche e popolazioni minoritarie e che favoriscono il pluralismo di un etere dominato dalle radio commerciali.
In sostanze le due radio per arrivare alla copertura nazionale del 60%, divennero le uniche a poter occupare le frequenze, a patto di non interferire con le altre emittenti. Basta solo un avviso di attivazione al ministero delle Comunicazioni e il gioco è fatto. Così dopo novanta giorni e in mancanza di segnalazioni di interferenze, le radio comunitarie sono autorizzate all’uso della nuova frequenza, il che significa che possono anche scambiarla per crescere in zone dove non sono presenti: il principio è che il bacino di utenti (e il valore della frequenza) rimanga lo stesso.
Ecco come Radio Padania Libera si muove nell’asfittico mercato radiofonico italiano: è tutto legale anche se di fatto il mercato viene falsato dalla presenza di un semi-monopolio, che per giunta è la voce di un partito che ha governato per otto anni negli ultimi dieci. E, di pari passo, negli ultimi anni sono decine le operazioni di acquisizioni di segnali, fino ad arrivare all’attuale numero di frequenze occupate: 62 sull’intero territorio nazionale. La maggior concentrazione di segnali radio al Nord con la Lombardia (38), seguita da Piemonte (9) e Veneto (9).
Ma la «colonizzazione» dell’etere è inarrestabile. Lo scorso dicembre lo sbarco in Salento non è andato a buon fine: dal paesino di Alessano, in provincia di Lecce, la Radio di Bossi è stata bloccata dal Ministero dello Sviluppo economico perchè il suo segnale interferisce con la locale «Radio Nice», come raccontato da L’Espresso. In Sardegna gli operatori del settore raccontano da anni di «operazioni scandalose che falsano il mercato con deprecabili conseguenze delle disparità che sancisce questa legge». Conseguenze gravi, secondo i proprietari delle radio locali, non solo perché le altre emittenti non possono permettersi questo meccanismo ma, soprattutto, perché le accensioni di Radio Padania trascorsi i 90 giorni spesso vengono cedute ad altre emittenti.
Quante frequenze «occupate» e cedute negli ultimi anni?
La frequenza 91.200 di Alghero è stata ceduta alla locale Radiolina del Gruppo Unione Sarda che ha anche acquisito la frequenza di Nuoro e del comune di Sant’Antioco (Cagliari). Stesso copione anche per i grandi network nazionali come Rtl che trasmette a Villasimius nel cagliaritano, nel capoluogo Nuoro e nel comune di Gairo nella provincia dell’Ogliastra.
Anche le commerciali Radio Dimensione Suono, Radio 101, Radio Italia e Dimensione Suono Roma hanno aumentato la loro diffusione grazie a cinque nuove frequenze cedute tra l’arcipelago La Maddalena, Olbia, Nuoro, fino a Carbonia e Arbatax, nel comune di Tortolì.
«Sono anni che facciamo questi scambi: qualcuno pensa che facciamo speculazione, ma non è vero perchè non c’è scambio di denaro- spiega Cesare Bossetti, amministratore unico di Radio Padania –. Attiviamo piccoli impianti che poi cediamo per frequenze simili che ci interessano in altre zone d’Italia. Quando raggiungeremo la soglia del 60% ci fermeremo». E per il Ministero dello sviluppo economico che è regolatore e controllore del mercato? «Siamo a conoscenza di questi passaggi- dice Giuseppe Calcina, responsabile della emittenza radio della sede di Cagliari per il Ministero dello Sviluppo economico – è tutto legale. Il problema è semmai una volta acquisite perchè probabilmente aumentano anche la potenza per aumentare il raggio d’azione. È illegale ma lo fanno tutte le grandi emittenti e soprattutto non servono grandi attrezzature: basta un telefonino». Nei controlli periodici del Ministero risulta però tutto in ordine. Così in pochi anni la diffusione delle grandi radio nazionali è diventata più capillare sull’isola ma come «effetto collaterale» il numero di emittenti locali è crollato: da un centinaio a 14 in tutta la Sardegna.