Watchdog, cani da guardia dei potenti, è il nome di quel popolo di internet che in rete denuncia e si indigna per l’asservimento dei media ai potenti. A loro è dedicato lo studio che ogni anno l’osservatorio inter-universitario Altratv.tv propone in collaborazione con il network di giornalismo partecipativo AgoraVox.
Se il giornalismo italiano non brilla per inchieste e ricerche approfondite, o è facilmente accusabile di contiguità ai poteri forti, non è però vero che l’informazione sia davvero tutta appiattita come troppo superficialmente si sente dire. E c’è anche una realtà diversa, sicuramente meno nota, che sul modello anglosassone viene definita del microcitizen journalism. Oltre 530 web tv, web radio, blog, video blog, che ogni giorno, dal basso, denunciano e informano.
L’identikit – elaborato dai ricercatori Alessandro Saponara e Veronica Fermani – offre dati in chiaroscuro: scarso il livello di apertura alle inchieste proposte dai navigatori (avviene solo nel 20% dei canali), ma alta la possibilità di interazione (per il 79% è attiva la funzione commento). Gli utenti dimostrano un gradimento per questo genere di contenuti e li prediligono nel 71% dei casi, proprio perché spesso non sono disponibili altrove. I temi preferiti per la denuncia sono quelli legati al sociale (42%) oppure alla cronaca (25%), meno quelli legati alla politica (19%) o all’economia (3%).
La metà dei micro media intervistati non ha dato seguito alle inchieste. La denuncia, però, lascia il segno: il 34% dei videomaker ha subito minacce. Intanto le strumentazioni diventano più sofisticate, grazie all’abbattimento dei costi del digitale: il 16% ricorre all’uso di telecamere nascoste.
Ma chi sono questi cittadini che si mobilitano? Realtà locali come il videoblog Tg Roma Talenti, una comunità che dal basso si fa cittadinanza attiva per monitorare le problematiche del quartiere, ma anche tv on line come Interferenze che sta seguendo le indagini sulla morte di una settantina di operai del Polo chimico di Mantova. «Stiamo raccontando il processo a 12 manager dell’ex Montedison e cerchiamo di parlare della storia di tante persone morte perché per anni hanno lavorato in montagne di amianto» spiega Fulvio Milani.
Dall’incrocio pericoloso al tetto della scuola in amianto. Dagli affidamenti delle case popolari all’insicurezza sui cantieri, rivelano storie d’Italia spesso ignorate. Eppure pochissime realtà ricevono finanziamenti (circa il 5%). La maggior parte, come Fuori tv, sopravvivono grazie ai volontari che, seppur con difficoltà, da Modena si spostano a L’Aquila per narrare il disagio della new town o seguono per mesi un rifugiato iracheno. Nel loro reportage “Yallairaq”, racconta uno dei reporter Davide Fonda, hanno girato l’Italia «da Roma a Crotone, ma abbiamo tracciato il commercio di uomini anche in Turchia e in Grecia. Ad ogni passaggio i rifugiati pagano». Ed è proprio il reportage la modalità preferita dalla rete, una scelta motivata dalla volontà di produrre ciò che il giornalismo tradizionale sta progressivamente abbandonando.
Piccoli “miracoli di comunicazione cittadina”, come li chiama Giampaolo Colletti, fondatore di Altratv.tv, ma chiari segnali di cittadini che sentono sempre più la necessità di vigilare un potere alieno dalla loro quotidianità.