Lo shopping di Wen Jiabao, in Europa a comprare debito

Lo shopping di Wen Jiabao, in Europa a comprare debito

«Non prestare soldi e non fare debiti, perché ciò che si da in prestito spesso si perde assieme all’amico, e i debiti fanno smarrire il senso della parsimonia». Chissà se ieri il premier cinese Wen Jiabao, davanti alla casa natale del suddito più famoso di Sua Maestà, avrà pensato sorridendo al discorso di Polonio a Laerte nell’Amleto di Shakespeare, prima di siglare con David Cameron accordi commerciali per 1,4 miliardi di sterline (circa 1,6 miliardi di euro).

Nel primo dei tre giorni di visita in Gran Bretagna, proprio mentre le grandi banche d’investimento minacciano di fare il percorso inverso, trasferendosi armi e bagagli nel Sudest asiatico dopo che il cancelliere George Osborne ha proposto la separazione tra retail e investment banking, il vertice politico della più grande economia mondiale ritorna a puntare su quel che resta delle finanze pubbliche europee per diversificare il portafoglio. Attualmente, infatti, la Cina detiene 3 trilioni di dollari di riserve in valuta estera, larga parte denominate in dollari. 

Questione di necessità, o di opportunità, a seconda di quale lato  si voglia guardare la medaglia. Un “paradosso”, la diplomazia nei confronti del Dragone, che il People’s Daily, organo di informazione del partito, sintetizza così: «In seguito alla crisi finanziaria internazionale, intrappolata in una crisi economica, politica e sociale, l’Europa ha iniziato una nuova fase di riflessione. Il risultato è che un numero crescente di europei oggi ritiene che la Cina giocherà un ruolo da protagonista nel futuro sviluppo dell’Europa, e ha chiesto di tessere relazioni più strette con il Paese». 

Secondo le stime di SocGen, gli investimenti cinesi potrebbero generare da qui al 2020 una crescita strutturale dell’economia comunitaria dallo 0,25 allo 0,4% l’anno. Niente male se si considera che, a livello aggregato – dati Eurostat – la crescita dell’Europa 27 nel primo semestre 2011 è stata dello 0,8 per cento. 

Atene è l’esempio vivente della strategia adottata dal Dragone nei confronti dell’Ue. Prima, il 3 ottobre 2009, il gigante cinese della logistica via mare Cosco si aggiudica, per 4,3 miliardi di euro, la licenza per utilizzare i terminal 2 e 3 del porto del Pireo (all’epoca non sono mancati gli scioperi dei portuali per il peggioramento delle condizioni lavorative imposte dai nuovi padroni). Poi, a distanza di un anno, l’annuncio di Wen Jiabao in visita nel Paese: «la Cina è pronta ad acquistare bond ellenici». Infine, a inizio 2011, la cospicua sottoscrizione (38% del totale) da parte del fondo sovrano del Celeste Impero (China Investment Corporation, dotazione pari a 550 miliardi di dollari) della prima emissione di bond da parte dell’Efsf, il meccanismo europeo salva-stati guidato dal tedesco Klaus Regling. Come ha osservato Jim O’Neill, capo economista di Goldman Sachs, in un editoriale sul Telegraph, «il debito greco, circa 450 miliardi di dollari, rappresenterebbe il 20% della riserve valutarie estere cinesi». Un paragone che fa comprendere con chiarezza qual è la potenza di fuoco di Pechino. 

Lo scorso aprile, durante un convegno, il numero uno di Cic, Lou Jiwei, dichiarava: «continueremo a investire in Europa». Una minaccia, più che un sollievo. Nello stesso periodo, Wen Jiabao volava in Spagna per incontrare Zapatero e investire 9,3 miliardi di dollari nel sistema finanziario iberico. Più della metà del fabbisogno del Paese, fissato in 15,2 miliardi di dollari dalla Banca centrale spagnola. Una proporzione che la dice lunga. 

La Repubblica popolare, tuttavia, non è golosa di solo debito. Nel suo ultimo viaggio a Parigi, nel novembre 2010, il presidente Hu Jintao ha firmato accordi commerciali per poco meno di 18 miliardi di dollari. Un mese prima, nell’ottobre 2010, Hu aveva ratificato, assieme a Berlusconi, 10 accordi commerciali dal valore di 2,25 miliardi di euro, ponendo come obiettivo per il 2015 un interscambio commerciale con l’Italia pari a 120 miliardi di euro, mentre alcuni stimano che il 13% del debito pubblico nazionale sia in mano cinese.

Nota a margine: nessuno, tra i leader europei, nel corso delle recenti visite degli alti esponenti di Pechino, ha inserito tra i primi punti in agenda il dibattito sul prezzo del dirompente sviluppo economico del Celeste Impero.
 

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