“Ma il berlusconismo sopravviverà a Berlusconi”

“Ma il berlusconismo sopravviverà a Berlusconi”

Incontriamo Giuseppe De Rita in un momento cruciale per il nostro paese. Il più noto e autorevole sociologo italiano, fondatore del Censis ed editorialista del Corriere della Sera, dà un’interpretazione complessa del momento attuale, ricco di potenzialità e dagli esiti del tutto non scontati. Così, “il leaderismo potrebbe non finire con Berlusconi”, ci spiega De Rita, “perché non è iniziato con lui, ma con Craxi”. E dal declino di questa fase politica se ne aprirà una nuova solo se “dallo spirito abrogativo dei referendum si saprà dare slancio a una fase costruttiva e progettuale vera”. In cui idealità e rappresentanza di interessi, leadership e progetti politici e partitici, ritrovino dialettica e armonia. 

Partiamo dall’esito dei referendum, che taluni analisti considerano un passaggio cruciale della vita politica italiana: Lei che idea si è fatto?

Sono dell’opinione, peraltro già sostenuta da molti altri, che la maggioranza del Paese abbia dato vita ad una grande “ventata di opinione“. Non importa se il vento sia bello o brutto, ciò che importa è che il vento stia cambiando, anche se il referendum e le discussioni attorno ad esso sono fortemente intrise di berlusconismo.

Era un risultato prevedibile?

La grande “ventata di opinione” lo era. La maggioranza schiacciante del sì in tutti i quesiti conferma che c’era una maggioranza precostituita, che c’è stato un vento d’opinione unidirezionale in assenza di dialettica. D’altra parte è notorio come l’italiano medio abbia paura delle centrali nucleari, ancora di più dopo il disastro di Fukushima; consideri l’acqua un bene di Dio e per ciò intoccabile; sia fortemente contrario al fatto che il premier possa sgattaiolare dai processi. Dunque c’erano tutte le condizioni perché il quorum venisse superato ed il sì prevalesse.

Passata la folata di aria nuova, che cosa resta?

Innanzitutto rimangono i problemi, in particolare quelli relativi alla captazione e distribuzione dell‘acqua, nonché all’approvvigionamento energetico.

Quest’ultimo ritiene possa ruotare principalmente attorno alle rinnovabili?

Assolutamente no! Mi fa sinceramente sorridere l’idea secondo cui la produzione energetica dovrebbe derivare esclusivamente o quasi da fonti rinnovabili. Semmai vanno messe in campo politiche che favoriscano un riequilibrio tra rinnovabili e non rinnovabili.

Quindi lei è dell’avviso che dopo la “ventata di opinione” serva formulare adeguate proposte?

Il vento di opinione ha eliminato la possibilità di percorrere alcune strade, non ha però “imposto” un nuovo approccio sistemico ai temi oggetto dei referendum: ora è necessario costruire ipotesi alternative perché il referendum non rimanga un mero fatto “distruttivo”. C’è bisogno insomma di azioni di sistema.

Il successo elettorale però non ha un padre politico e quindi chi incarna questa tensione “sistemica”?

È vero che l’esito referendario è figlio soprattutto del web, di facebook, di twitter, della trasmissione orizzontale dell’opinione, di tanti piccoli comitati sorti spontaneamente. Ma anche quel pezzo di politica che ha sposato e sostenuto i referendum ha svolto un ruolo, seppur marginale…Padri politici comunque non ce ne sono, vedremo se ci sarà un erede.

E chi può essere l’erede?

La mia impressione è che potrebbe esserlo chi si prende la responsabilità di passare dal referendum ad una riprogettazione di sistema, con l’apertura di una nuova fase politica nel nostro Paese e la conseguente chiusura di un ciclo che peraltro io non ho amato…

Che porti con sè il superamento del berlusconismo e il definitivo abbandono di una sorta di devozione leaderistica a cui ci siamo piegati almeno da un ventennio?

Vede, Il leaderismo non è nato con Berlusconi. Lui l’ha cavalcato con vigore, ma è soprattutto Craxi che teorizzò la necessità di avere un leader forte, maggiore decisionismo, una verticalizzazione del potere. Tutto ciò che è accaduto dopo Craxi, dalla scelta del maggioritario, all’elezione diretta del Sindaco, alla trasformazione del Presidente di Regione in Governatore, sono chiare espressioni di leaderismo. Analogo processo è avvenuto nelle forze sociali: la presidenza Montezemolo ha incarnato una forte vocazione leaderistica e la stessa Marcegaglia, anche se non ce l’aveva nel cuore, ci si è abituata.

Dunque ci teniamo berlusconismo e leaderismo?

Sono convinto che con la fine di Berlusconi non finisce il berlusconismo, in particolare nella sua accezione di soggettivismo etico. E peraltro lo stesso opinionismo genera dei leader; guardi cosa è successo a Milano e soprattutto a Napoli…il problema vero, però, è che i Sindaci vincono le elezioni, divengono leader e poi si ritrovano disperatamente soli, senza punti di riferimento, senza sezioni di partito, senza associazioni e quindi senza soluzioni. Il processo degenerativo del leaderismo è la solitudine, come quella di Berlusconi, di tutti coloro che hanno usato ed alimentato la dimensione leaderistica.

Come ne usciamo? All’orizzonte, in particolare a sinistra, vede qualcuno che non sia solo “fit to lead“ ma in grado di governare il cambiamento sistemico che Lei auspica?

Se si esaurisce, come sta avvenendo, la cultura dei leader, l’unica possibilità è far leva sulla “cultura del contenitore“. Mi spiego meglio: quando un paese non esprime un leader è un paese che ha a disposizione un pò di tutto. Quindi governare un paese contenitore è fare il leader. Il Partito Democratico lo vedo come un contenitore…non esprime allo stato personaggi come De Gasperi, Moro, Berlinguer, ma coltivare una “cultura del contenitore” non significa esprimere una cultura di serie b.

Forse serve pure una nuova coscienza collettiva. Il referendum segna un risveglio di civismo, oltrechè culturale di un’Italia fino a ieri descritta come un paese smarrito?

Credo che il Paese non si sia mai smarrito, perché negli italiani ha sempre prevalso un sano egoismo interiore. C’è soprattutto da ricostruire una dimensione etica. Deve preoccupare la devastazione antropologica a cui siamo arrivati, il menefreghismo dilagante, il “lelemorismo” radicato, la curiosità morbosa sul sesso, l’interesse fuori controllo al gossip, al pettegolezzo, all’intrattenimento puro…

Eppure molti hanno parlato del referendum come di una svolta…

Certo la partecipazione al referendum esprime un atteggiamento civico, ma le assicuro che la gran parte di coloro che sono andati a votare, sono tornati a chattare! Pensi che per gli italiani che usano la rete, il tempo medio di intrattenimento è 29 secondi…in 29 secondi non si costruisce nemmeno un pensiero, si soddisfa semmai una mera curiosità!

La sua ricetta quindi? Serve puntare con ancora maggiore forza su alcuni capisaldi come la bandiera, l’unità nazionale, la resistenza ed altri ancora per ricostruire una identità collettiva?

Sovente ricordo Santi Romano, insigne giurista, secondo cui per ricomporre dei format di identità collettiva non bastano meri valori; è necessaria la compresenza di interessi e identità collettiva…in fondo le lotte operaie dell’800 erano battaglie civiche ma per interessi ben precisi.

E dietro l’interesse forte del Governo, condiviso anche dalla Marcegaglia, ad abbassare le imposte, Lei cosa ci vede?

Una pura priorità politica, tesa a far uscire dall’angolo Berlusconi. Da tempo penso invece che la vera urgenza sia quella di ristabilire un rapporto corretto tra produzione di ricchezza e fisco. Fino a quando saranno tollerati evasione, elusione, sommerso, non ci sarà riforma delle aliquote che tenga.

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