Nato in Marocco nel 1944, Tahar Ben Jelloun vive in Francia dagli anni settanta, ed è considerato uno dei maggiori scrittori francofoni: fra i suoi best-seller si contano titoli come “Il libro del buio”, “Il razzismo spiegato a mia figlia”, “L’Islam spiegato ai nostri figli”, “Non capisco il mondo arabo”, “Creatura di sabbia”.
Linkiestra lo incontra a Vicenza, in occasione della rassegna “Dire Poesia”. A detta del curatore, il professor Stefano Strazzabosco, Ben Jelloun è un intellettuale a cavallo tra due culture, capace di «un’intensità di scrittura altissima». Senza dubbio è anche un uomo coraggioso. Persuaso che compito dello scrittore sia «essere testimone della propria epoca», da anni Ben Jelloun denuncia, con i suoi romanzi e i suoi articoli, il terrorismo islamico e le dittature arabe “moderate”, l’ipocrisia della società occidentale e le meschinità dei suoi leader politici.
Con noi lo scrittore francomarocchino ha parlato della Primavera araba, oggetto del suo ultimo libro: “La Rivoluzione dei gelsomini” (Bompiani). Primavera che lui trova “commovente”, perché non si può rimanere indifferenti di fronte alla ribellione dei popoli arabi contro i loro oppressori.
Oggi, in un’epoca dominata da tv e internet, pensa che i libri possano ancora spingere le masse ad agire? In fondo dietro la Primavera araba non ci sono grandi intellettuali, ma giovani armati di cellulare…
Credo che nessun libro possa scuotere le masse.
Nessun libro ?
No. Né libri, né film, nulla. Ciò che scuote le masse è il bisogno vitale che avvertono. Un giorno si dicono “Non possiamo più vivere nell’indegnità, non possiamo più sopportare”, e scendono in piazza. Ma i libri, le poesie, i film, e anche la musica, contribuiscono al clima che prepara la rivolta. Un libro, però, non riuscirà mai a cambiare nulla. Lei può scrivere il più grande libro, non cambierà la società. Ma parecchi libri, parecchie opere pittoriche, parecchie opere musicali e parecchi film, nell’insieme, finiranno per influenzare la gente in modo inconsapevole.
Degno di nota, per molti esperti, è che in Egitto e Tunisia le rivolte siano state non-violente.
Non-violente… insomma, ci sono stati dei morti. Chi manifestava non era violento, ma la repressione della polizia lo era. La novità, dunque, è stata che la gente ha manifestato in modo pacifico. Non aveva armi, aveva solo degli slogan.
Lei non teme che l’Egitto, dopo un breve interludio d’euforia democratica, passi dalla dittatura di Mubarak a quella dei generali ?
Non penso.
Perché ?
Per una ragione, non perché sia ottimista. Penso che attualmente il popolo egiziano sia molto vigile: si riunisce ogni venerdì, discute di tutto… Chiunque arriverà al potere sa che non potrà fare quello che vuole, e che bisognerà andare nella direzione indicata dalla rivolta, e non in quella del passato. Questo è sicuro.
E l’Algeria ? Lei ha scritto che «l’Algeria è il suo esercito». Quindi è molto improbabile che in Algeria le cose cambino.
No, in Algeria è molto difficile, perché l’esercito ha il potere dal 1965. E come in Siria, non ha intenzione di lasciarlo.
Secondo quanto riferito dal Guardian, Mubarak e la sua famiglia potrebbero aver accumulato un patrimonio di 70 miliardi di dollari, quasi quanto il PIL della Libia. Com’è stato possibile che Mubarak abbia potuto derubare l’Egitto di così tanto per così tanti anni ?
Com’era possibile… Semplice: quando il denaro entrava, Mubarak lo rubava, e lo metteva altrove. Non c’era alcun controllo. Come in Tunisia. Quello che succedeva in Tunisia era incredibile. Il presidente Ben Ali era veramente un ladro. Diciamo un piccolo ladro: rubava molto, ma era un piccolo, stupido ladro. Nel suo palazzo hanno trovato armadi pieni di denaro, di gioielli. Ben Ali si comportava come i re del Medioevo, che raccoglievano il denaro dei sudditi, l’oro, e lo mettevano nei forzieri.
Non a caso la corruzione è il peggior flagello del mondo arabo…
La corruzione è come la mafia. Non si può lottare contro di essa senza un’educazione che parta dalla scuola elementare. Bisogna che i bambini imparino fin da piccoli l’odio verso la corruzione, l’odio verso la mafia. Sono stessa cosa. Perché il denaro fa marcire la gente. Su sette miliardi di uomini ci sono forse due, tre persone che non sono sensibili al denaro. Quando lei offre centomila euro a qualcuno, anche se questo qualcuno è molto, molto virtuoso, e va in moschea o in chiesa o in sinagoga ogni giorno, non sputerà sui soldi, li prenderà e da quel momento perderà la sua dignità. Ma di uomini così ce ne sono miliardi, non milioni. Miliardi.
Nel 2004 lei si è recato la Libia. Che impressioni ricavò da quella visita ?
A me la Libia sembrò un Paese completamente fermo, in anestesia generale. Nessuno parlava, nessuno diceva nulla. Mi ha stupito che qualcosa si sia mosso, perché era una vera dittatura militare, e lo si vede ora. Molti libici sono morti, è una rivolta assolutamente tragica: nonostante l’intervento del Consiglio di sicurezza, della Nato e di tutto il resto, non si riesce a scacciare Gheddafi.
Il Nobel francese Claude Cohen-Tannoud nato in Algeria nel 1933, sogna un Maghreb unito e pacifico. Che cosa pensa al riguardo ?
Che non è il solo. Tutti noi sogniamo un Maghreb così, ma in mezzo c’è l’Algeria, che ha molti problemi con tutti: con il Marocco, con la Tunisia, con la Libia, con tutti. Dunque finché l’Algeria non risolverà i problemi con se stessa, non si potrà fare niente.
Pensa che la Primavera araba riuscirà ad attraversare il Mediterraneo?
È già in Spagna, a Puerta del Sol… Il problema con la Spagna è che questa gioventù non ha lavoro. Si ribella contro il partito al potere, che è il partito socialista, e tutti adesso voteranno per il partito popolare, che è una destra abbastanza stupida. La destra non potrà creare occupazione. Non bisogna credere che la destra abbia soluzioni miracolose.
Passando dalla Spagna all’Italia, cosa pensa della situazione politica italiana ?
La situazione politica italiana è strana. Non la comprendo molto, come d’altronde molti italiani. È una situazione che sfida ogni morale, e ciò che mi affligge di più è che la sinistra italiana è, come la sinistra francese, molto divisa.
Torniamo al Maghreb. Come sarà, secondo lei, il Nordafrica nel 2012?
Non sono un veggente [ride] Non si può dire che cosa succederà, ma una cosa è sicura: non si tornerà indietro.
(traduzione di Cynthia Ruaud)