Maroni annusa Palazzo Chigi e va alla parata del 2 giugno

Maroni annusa Palazzo Chigi e va alla parata del 2 giugno

Una parata militare val bene Palazzo Chigi. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni deve essersi fatto due conti. Dopo anni di assenze ingiustificate alle celebrazioni romane della festa della Repubblica, stamattina il titolare del Viminale ha partecipato alla tradizionale manifestazione. Non solo. Secondo indiscrezioni sarebbe stato uno dei primi a salire sul palco d’onore di via dei Fori imperiali. Un impegno istituzionale, certo. «In un certo senso doveroso» spiega un deputato del Carroccio. Ma tutt’altro che scontato, data l’ormai cronica latitanza dei vertici padani. Maroni escluso, in rappresentanza del partito di Umberto Bossi si sono presentati a Roma solo due leghisti. Il vice capogruppo alla Camera Sebastiano Fogliato e Franco Gidoni (che al telefono ammette, un po’ emozionato, di essere «alla sua prima volta»).

Qualcosa è evidentemente cambiato. Non più tardi di un anno fa la rumorosa assenza del titolare del Viminale aveva creato una lunga polemica. «Il ministro non c’è? – aveva risposto il presidente Giorgio Napolitano a un cronista – Il motivo dovete chiederlo a lui. Ognuno avrà la sue ragioni…». Le cronache ricordano che quel giorno Maroni si trovava a Varese. A una celebrazione del 2 giugno in cui la banda musicale – tanto per alimentare le critiche – aveva deciso di sostituire l’inno d’Italia con “La Gatta” di Gino Paoli.

«Mi sembra chiaro – racconta una fonte vicina al partito di Via Bellerio – che questa è solo l’ultima tappa nel suo percorso di legittimazione agli occhi del Quirinale». Tornano in mente le indiscrezioni sul ruolo del ministro nel caso di un governo tecnico. Della sua personalissima sfida con il collega dell’Economia Giulio Tremonti – l’altro grande candidato alla guida di un esecutivo di transizione – nell’eventualità di una crisi di maggioranza. Voci di corridoio smentite dalle ultime affermazioni di Silvio Berlusconi, tutt’altro che intenzionato a lasciare Palazzo Chigi. Ma sempre più insistenti.

L’ultima investitura risale a una decina di giorni fa. Dopo la sconfitta nei ballottaggi, il sindaco di Verona Flavio Tosi aveva suggerito al Cavaliere di riflettere su un passo indietro. In pole position per la successione, manco a dirlo, c’era proprio Maroni: «Il ministro gode di ottima reputazione e di stime trasversali – chiariva il sindaco – Gli italiani hanno imparato ad apprezzare le sue capacità». Una giusta considerazione. Negli ultimi mesi – grazie all’ottimo lavoro nella lotta alla criminalità organizzata – il titolare del Viminale ha conquistato in Parlamento un consenso bipartisan. «Ora la sua carriera politica è all’apice – raccontano ancora da via Bellerio – Ma se aspetta troppo inizierà la fase calante». All’interno della Lega, poi, Maroni è uno degli uomini di maggior peso. Dietro di lui non c’è una vera corrente, ma un gruppo di parlamentari di indubbio avvenire: dal presidente della commissione Bilancio Giancarlo Giorgetti, al segretario di presidenza della Camera Giacomo Stucchi (in ballottaggio fino all’ultimo con Marco Reguzzoni per il ruolo di capogruppo).

Da qualche tempo, intanto, Maroni ha inaugurato un nuovo rapporto con il Colle. Basato su cordialità e reciproci attestati di stima. Non più tardi dello scorso febbraio il ministro aveva espressamente difeso il capo dello Stato: «Sono sempre d’accordo con il presidente – le sue parole dopo un intervento di Napolitano all’università Bocconi – anche stavolta ha detto parole di saggezza che tutti i politici dovrebbero ascoltare con grande attenzione». Una gentilezza ricambiata un mese più tardi, quando il Quirinale spiegò di aver apprezzato e condiviso la linea di Maroni in tema di immigrazione. «Ho apprezzato l’impegno del ministro Maroni – la frase di Napolitano – Lavoriamo in piena sintonia».  

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