Morto Bernheim, “il padrino del capitalismo francese”

Morto Bernheim, “il padrino del capitalismo francese”

«In Italia, il tradimento è un fenomeno istituzionalizzato» che andrebbe «scritto nella Costituzione». Parola di Antoine Berheim, ex presidente delle Assicurazioni Generali, ex banchiere chez Lazard, ora pensionato di lusso ancora presente in una miriade di consigli d’amministrazione che a 86 anni può permettersi di dire un po’ ciò che vuole. Concetto, quello della vocazione al tradimento delle italiche genti, ripetuto più volte nelle 276 pagine di Le parrain du capitalisme francais, («Il padrino del capitalismo francese») biografia di Bernheim appena uscita per i tipi di Grasset.

A raccogliere ricordi, sfoghi e impressioni dell’anziano banchiere è Pierre de Gasquet, giornalista del francese Les Echos, profondo conoscitore delle faccende italiane e già autore, nel 2006, de La Dynastie Agnelli. D’altra parte, non sarà per caso che in tanti anni di frequentazioni tra Milano, Torino, Roma e Trieste, Bernheim abbia sempre rifiutato di parlare italiano in pubblico, malgrado chi lo conosce assicura che lo parli abbastanza bene. Lo spazio dedicato all’ultimo «tradimento» subito in Italia, quello consumatosi nell’aprile dello scorso anno per il rinnovo per vertice delle Generali, è ovviamente ampio. Sia in maniera diretta che indiretta. Ad esempio, il banchiere riferisce di un battibecco avuto con il presidente francese Nicolas Sarkozy, sul quale non fa mancare giudizi taglienti, che durante una cena ufficiale rimprovera a Bernheim di essere stato «fatto fuori» dal gruppo triestino. Proprio lui, dice il banchiere, che ho fatto lavorare per vent’anni dando mandati al suo studio legale.

L’ossessione per il tradimento non è solo una paranoia, dice de Gasquet. Bernheim ricorda ad esempio come Alessandro Profumo abbia cercato a lungo di «fargli la pelle». Lo aveva sostenuto ai tempi dell’Opa sulla Banca Commerciale italiana e come ringraziamento, racconta, aveva ottenuto di essere stato fatto fuori (la prima volta) dalle Generali. «Cambia troppo spesso idea sulle persone e sulle strategie». Come quando «ad un certo punto si mise in testa una fusione tra Generali e Axa, che non aveva nessun senso». Per poi, con una capriola, «porsi come il garante dell’autonomia delle Generali».

Il tradimento supremo, ovviamente, è quello dell’aprile 2010, quando viene estromesso dalla presidenza del Leone di Trieste per essere rimpiazzato da Cesare Geronzi. A consumarlo sarà in realtà un francese, e per di più quasi un figlioccio, Vincent Bolloré, che aveva tirato su da giovane,  lui «allevatore di ereditieri». Lo aveva affiancato dai primi anni ’80, quando il giovane Vincent prese in mano gli affari di famiglia mandati in malora dal padre: la cartiera Bolloré, produttrice della cartine da sigaretta Ocb.  Bernheim,  allora a Lazard, lo guidò nel risanamento e nella diversificazione del gruppo, presente adesso nei trasporti, nel settore minerario, nei media e nella pubblicità.

Ma se dice di avere in spregio i «fiorentinismi» della finanza italiana, che ci fa a capo delle Generali? «Sono presidente perché ho salvato la compagnia dal fallimento. Ma oggi tutti mi attaccano. La stampa italiana… e poi alcuni amministratori che montano dei complotti per prendere loro il controllo”. I nomi sono quelli di Lorenzo Pellicioli (De Agostini) e di «Giulio Tremonti, (…) che sogna di mettere la mani su questo santuario del capitalismo italiano».

Va detto che accanto ai molti nemici in Italia conserva anche qualche amico. Uno è francese, si chiama Romain Zaleski: molto ricco, molto potente e appassionato anche lui di bridge. Un altro è John Elkann: «insieme facciamo il vecchio e il bambino, ma facendo la media si arriva ad un’età accettabile». Il rampollo di casa Agnelli diventa très proche del banchiere dopo morte di Gianni. «Lo conoscevo dagli anni ’60, era amico di André Meyer», il numero uno di Lazard a New York che è anche uno dei nomi più citati nelle memorie di Bernheim insieme a quell’Enrico Cuccia «che per tutta la vita ha preso lo stipendio di un direttore di banca» tanta era la sua scarsa attenzione per il denaro: «il miglior banchiere europeo» della sua generazione. Proprio Zaleski ed Elkann («che certo non ha il carisma del nonno»), Bernheim li avrebbe voluti piazzare nel board del Leone, svela il libro. Ma non gli è riuscito.

Quanto alla politica, l’anziano ex partner di Lazard non nasconde di preferire Silvio Berlusconi a Romano Prodi. Anche se confessa: «L’Italia va meglio quando non c’è un governo».

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