Sorpresa: in Inghilterra, le case di cura pubbliche sono meglio delle private. Un’indagine del Financial Times, pubblicata qualche giorno fa, sembra rovesciare uno dei più classici luoghi comuni nei Paesi anglosassoni: privato significa efficienza. L’inchiesta ha più aspetti, politici e finanziari. Per capire i primi occorre partire dai secondi.
Il lavoro del principale quotidiano economico europeo prende le mosse dalle difficoltà finanziarie in cui versa Southern cross, multinazionale che gestisce 750 case di cura sparse per il Regno Unito, prendendole in leasing da 80 locatori, tra cui il fondo sovrano del Qatar, ed è quotata sul listino londinese.
La società, che negli ultimi sei mesi ha registrato una perdita di 310 milioni di sterline (353 milioni di euro circa), ha optato per rinviare il pagamento del 30% del monte affitti di giugno al 30 settembre (il monte annuale è pari a 250 milioni di sterline), creando quello che dal top management è stata definita una “piattaforma estiva” da 20 milioni di sterline per dare un po’ di ossigeno finanziario mentre si decide il da farsi. Qualora si procedesse ad una ristrutturazione del debito, infatti, sarebbero necessari altri 100 milioni di sterline. Non sono chiari invece termini di rinegoziazione dei covenant con le banche creditrici, Barclays e Lloyds.
Un default di Southern Cross coinvolgerebbe 31mila anziani in tutto il Paese, anche se l’indice di occupazione delle sue cliniche è sceso dal 91 all’82% negli ultimi due anni. E sarebbe solo la punta dell’iceberg. Il principale competitor di Soutern Cross, Nhp, che controlla 200 case di cura ed è di proprietà qatarina, verserebbe in simili condizioni. Come spiega il quotidiano della City una casa di cura privata se è proprietaria delle strutture, genera profitti quando il tasso di occupazione dei posti letto è tra il 50 e il 70 per cento. Quando deve pagare un affitto, il tasso si alza all’80-85 per cento. È questo il caso della catena inglese.
Uno tsunami non solo finanziario: il parlamentare laburista Michael Meacher, a metà maggio, ha affermato che un fallimento della medicare «mostrerebbe la logica brutale dei servizi essenziali privati basati sul profitto». Meacher ha parzialmente ragione: Blackstone aveva acquisito Southern Cross nel 2004, per poi rivenderla rapidamente nel 2007, quando ha preso il via un’aggressiva politica espansionistica per guadagnare rapidamente quote di mercato.
Secondo le rilevazioni della Care quality commission (Cqc), il regolatore del comparto che monitora il settore e fornisce le licenze e autorizza le attività sanitarie private e pubbliche per i sudditi di Sua Maestà, 7 imprese private su 10 sono valutate “sotto la media”. Significa, scrive il Ft, che potrebbero avere dei seri problemi di degrado, pulizia e assistenza dei pazienti. Difficoltà che riguardano soltanto una struttura su 11 pubbliche o guidate da organizzazioni no profit.
C’è di più: la stessa Cqc versa in condizioni critiche, e ha ridotto i controlli del 70% negli ultimi sei mesi, dimezzando inoltre l’attività di enforcement.
Le ragioni del declino del ricco business delle case di riposo private, rispetto alle strutture pubbliche, vanno ricercate nell’aumento dei canoni di affitto delle strutture, 2,5% anno su anno, e della contemporanea riduzione, intorno al 10%, della spesa pubblica legata ai servizi assistenziali delle amministrazioni locali, principali clienti di Southern Cross, ma non mancano le voci che parlano di cattiva gestione.
Downing Street, intanto, pensa a un piano B in caso di default. Il portavoce di David Cameron ha assicurato che il Governo metterà al primo posto «i diritti degli anziani».