Oggi Sofia – il nome è di fantasia – ha un pargoletto di due mesi. Ed è felice. Lei e il marito sono dovuti andare all’estero per coronare il loro sogno, grazie a tecniche di Pma non consentite in Italia come l’ovodonazione. Tra tanti tentativi, molti bimbi in affidamento e ora un figlio loro, anche una brutta avventura a Cipro che ha coinvolto molte coppie italiane.
Come è cominciata la tua storia?
Io e mio marito non abbiamo mai scoperto le cause della nostra infertilità: per i medici è “inspiegata”. In Italia abbiamo provato a fare delle stimolazioni per fare un’inseminazione e la fecondazione omologa, e tutte e tre le volte ho avuto degli effetti collaterali perché ho problemi con i farmaci. Sono allergica e ho delle reazioni gravissime ai farmaci. Ci siamo rivolti allora alla Pma, prima in Italia e poi all’estero. Tutte e tre le volte che abbiamo provato con l’omologa in Italia ho dovuto interrompere: la prima volta ho avuto una torsione dell’ovaio, la seconda quasi l’esplosione di un ovaio e l’ultima il medico ha preferito non rischiare, e abbiamo interrotto. Dipende da me: faccio così con tutti i farmaci. E quelle stimolazioni mi mettevano seriamente in pericolo di vita.
Quando avete iniziato a tentare la fecondazione assistita?
Abbiamo iniziato da poco, dal 2009, con i tre tentativi in Italia. Nel 2010 sono andata all’estero, prima a Cipro e poi in Grecia. E sono stata fortunata perché, a Creta, ho avuto successo immediato.
Le destinazioni all’estero vi sono state suggerite dai medici?
No, assolutamente. Lavoro in ambito sanitario, quindi ho conoscenze scientifiche al merito. E mi sono detta: se desideriamo un figlio, per evitare di mettere a rischio la mia vita, l’unica soluzione poteva essere quella: gli ovuli di una donatrice impiantati nel mio utero.
Com’è andata?
Ho fatto l’ultimo tentativo in Italia a gennaio 2010. Poi a febbraio compivo gli anni, ed essendo nata nel 1967 sarei uscita fuori dalla convenzione con il sistema sanitario nazionale e avrei dovuto fare tutti i trattamenti in Piemonte a pagamento e con i limiti della legge 40. Quindi abbiamo deciso di andare all’estero per fare l’ovodonazione. Mi sono documentata, e per le caratteristiche della popolazione abbiamo scelto di andare in Grecia. Prima mi sono rivolta a Cipro, alla clinica IVF&PGD di ZYGi. Una clinica americana con equipe statunitense e russa molto quotata, satellite di una clinica di Chicago con tassi di successo molto alti. Quindi, per non andare in America, dove i costi erano davvero esagerati, siamo andati a Cipro. Era consigliata e conosciuta anche da molti ginecologi italiani. In Italia, qui a Torino, c’era una referente di questa clinica, che ha avuto i contatti diretti con le pazienti italiane e faceva da tramite con l’equipe russa. Tramite lei, abbiamo consultato il catalogo delle donatrici.
Con i profili delle donatrici?
Nel catalogo c’è tutto di ogni donatrice, tranne la foto. C’è il peso, l’altezza, colore di occhi e capelli, professione, se hanno già avuto bambini eccetera. Così hai la possibilità di scegliere chi è più somigliante a te. Avevo allora scelto una donatrice che faceva la mia stessa professione, l’infermiera pediatrica e aveva le mie stesse caratteristiche fisiche.
Donatrice in esclusiva?
Avevi due opzioni. O condividevi la donatrice con un’altra coppia, oppure la prendevi in esclusiva: tutto ciò che lei avrebbe prodotto sarebbe stato solo per una coppia. Ho scelto questa seconda opzione, in esclusivo: 12 ovociti.
Poi cosa è successo?
Mio marito è partito ad aprile, è andato a Cipro e ha depositato il seme. Ha fatto tutti gli esami, gli hanno detto che era idoneo e quindi è ritornato in Italia. Io sarei dovuta partire il 1 maggio, ma sono rimasta bloccata a causa della nube vulcanica.
Generata dall’eruzione dell’ impronunciabile vulcano islandese Eyjafjallajoekull.
Esatto. Quindi il mio volo è stato soppresso il giorno che dovevo partire e fare il transfer e, in accordo con il medico della clinica congeliamo tutto. Ho aspettato quindi il mese successivo per partire. Ero in procinto di farlo, mancavano due giorni e ho mandato via email alla mediatrice, i miei esami per aggiornarla sugli ultimi controlli che dovevo fare prima di partire. Lei ha iniziato a dirmi che i miei esami erano scaduti e quindi il trattamento era sospeso. La cosa mi ha puzzato, essendo del mestiere. Mi ha detto che erano scaduti, ma avevo fatto quegli esami da meno di un mese. Ho quindi insistito per sapere cosa era in realtà successo e lei, dopo le mie pressioni, mi ha confidato che la clinica era stata chiusa.
Perché?
Ho informazioni tramite il consolato e gente del posto. Sembrerebbe che la clinica non avesse rispettato i tempi tecnici che il governo cipriota aveva dato loro per adeguare la struttura. Altri dicono che sia stata messa sotto sequestro per traffico di embrioni. Altri ancora che la clinica è stata chiusa perché le donatrici si sono ribellate perché venivano sfruttate e non retribuite. Poi si è anche scoperto che questi embrioni non erano etichettati, erano tutti mischiati.
E voi avevate degli embrioni congelati lì?
Sì, i nostri embrioni e del materiale biologico di mio marito.
E non sapete che fine abbiano fatto.
No. Sembrererebbe che si siano presentate le autorità cipriote in clinica, e che lì non abbiamo trovato nessuno. Erano probabilmente già scappati. Non c’era nessuno e non c’era più nemmeno la corrente elettrica. Quindi il ministro della Sanità ha chiesto il sequestro per mettere in salvo tutto il materiale biologico, conservato in azoto liquido e per il timore che andasse perduto. Hanno sequestrato tutto, e scoperto che nessuno aveva mai documentato i dati anagrafici dei proprietari di quel materiale biologico. Che è quindi rimasto anonimo.
Se anche non avessero chiuso la clinica non è detto che il materiale biologico che avrebbero eventualmente usato con voi fosse il vostro?
Esatto.
E come l’avete presa?
Era il mio primo tentativo di eterologa e sono rimasta esterrefatta. Era maggio dell’anno scorso. Con mio marito ci siamo detti: chiodo batte chiodo. O ci rivolgiamo immediatamente, prima di avere il tempo di metabolizzare, in un altro centro, oppure non lo facciamo più. Col senno di poi so che non l’avrei in effetti più fatto. Anche perché solo in seguito abbiamo avuto il quadro completo della situazione. All’inizio sapevamo che il materiale biologico ci sarebbe stato restituito, e il mio timore era che non sarebbe stato manipolato bene. Ecco perché abbiamo deciso di rivolgerci subito altrove.
E dove siete andati?
Ci siamo rivolti ad un altro centro in Grecia, a Creta. Ci siamo trovati benissimo: personale professionale, struttura all’avanguardia, medici del posto ma che hanno studiato in Italia e che quindi parlavano anche, perfettamente, italiano. Ho il fatto il trasfer a luglio e ora abbiamo il nostro bambino. Ha due mesi. Della storia di Cipro ho scoperto tutto, anche che non ci avrebbero restituito il nostro materiale biologico, quando ormai ero incinta di quattro-cinque mesi. Anche perché le autorità cipriote hanno mantenuto il riserbo, al punto che abbiamo dovuto mettere l’avvocato qui in Italia per riuscire a capirne qualcosa di più. Poi i loro tempi sono stati molto lenti, quindi riuscire ad avere notizie è stato sempre complicato. Ci siamo rivolti anche al consolato, che è stato molto partecipe. Siamo riusciti a ricostruire la situazione con le loro informazioni, quelle del ministero della Sanità, e grazie al nostro avvocato Filomena Gallo. Nessuno ti tutela. In Italia è una tecnica vietata, e per quello che ruota attorno a questo mondo c’è disinteresse totale. La stessa Roccella allora disse “ben vi sta, chi ve l’ha fatta fare”. A Creta è come andare a donare il sangue. È in Italia che abbiamo questa concezione di peccato, di sfruttamento e di sporco.
Qual è il totale dei costi che avete sostenuto in tutta questa storia?
Per i tentativi in Italia, tra farmaci e tutto, sui 3-4mila euro. Ero in convenzione, ed era una clinica privata ma convenzionata con l’asl. A Cipro 6mila euro per il tentativo: di questi ci hanno restituito l’acconto, di 3mila euro, ma tutte le spese affrontate no. In totale quindi per Cipro abbiamo speso 10mila, e 6-7mila in Grecia: 4500 il trattamento e il resto in viaggi e permanenza per i 15 giorni necessari. So di gente che ha fatto anche otto tentativi. Cifre enormi.
Lo definiresti un business?
Certamente. E coinvolge anche l’Italia. Perché è vero che l’eterologa qui non è consentita, ma è in Italia che vai a fare tutti i monitoraggi in preparazione dell’intervento. Sono tanti, a 200 euro alla volta: e i ginecologi quindi sono coinvolti e interessati. Anche il mercato italiano si alimenta quindi di queste tecniche di Pma. E tanti sono i ginecologi italiani che si occupano di eterologa all’estero.