«I pagamenti in nero sono il male oscuro dell’economia nazionale», scrive Sergio Romano sul Corriere della Sera. Un male che, come nota l’editorialista, pur essendo una tentazione per molti italiani, «è colpa molto più grave se attribuita a persone che hanno l’obbligo istituzionale di esigere correttezza fiscale, di fissare le regole e di punire coloro che le osservano».
Persone austere e credibili, come «il cane mastino della finanza nazionale», il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Persino lui, tenace custode dei nostri conti, stando alla memoria difensiva del suo consigliere, l’ospitale deputato Marco Milanese, ha ceduto alla tentazione oscura. «Per l’utilizzo temporaneo» di quell’appartamento in via Campo Marzio «corrispondeva settimanalmente una somma di circa mille euro». «Sempre in contanti», naturalmente. Del resto Tremonti ci ha informato di ricevere sempre «in contanti» persino «il compenso da ministro». È «perfettamente lecito», certo. Ma è altrettanto certo che nel nostro Paese contanti e nero sono spesso un binomio inscindibile.
L’Italia è infatti il Paese europeo più legato alla banconota ed è il Paese in cui l’evasione fiscale, secondo le ultime analisi di DbGeo, la nuova banca dati dell’Agenzia delle Entrate, arriva al 38,4 per cento, con punte del 66 per cento in alcune zone del Sud.
Eppure chi ha fissato le regole negli ultimi anni è stato severo. Sono stati introdotti limiti precisi all’uso del denaro contante e degli assegni tracciabili, con il decreto Bersani del luglio 2006 i compensi ai professionisti sopra i 100 euro devono essere riscossi con strumenti cartacei. Ma non solo. Proprio il governo Berlusconi ha dato un ulteriore giro di vite, mettendo fine, con il decreto legge 78 del 31 maggio 2010, ai trasferimenti di contanti, libretti al portatore e assegni trasferibili di importo pari o superiore a 5mila euro. E, come se non bastasse, il ministro dell’Economia ha detto no anche agli affitti in nero, approvando una legge che incentiva gli inquilini a denunciare i proprietari.
Regole da una parte e abitudini dall’altra. Secondo il sondaggio realizzato da Alter Ego, la maggior parte degli italiani sono restii ad abbandonare la cartamoneta «più per abitudine che per paura della tracciabilità». Un’abitudine che costa a ciascuno di noi circa 200 euro all’anno. È il costo per la gestione del denaro, ossia i controlli, il personale, le perdite, i furti, il trasporto, la vigilanza», spiega Geronimo Emili l’ideatore di “No Cash Day” e “No Cash Week”, due iniziative volta a sensibilizzare gli italiani sull’importanza di abbandonare il denaro contante.
«Sono molte le ragioni per cui sarebbe preferibile l’utilizzo della carta di credito», fa notare Emili. «I contanti favoriscono l’evasione, mentre le transizioni elettroniche vengono tracciate; sono falsificabili; inquinano; sono veicoli di batteri anche potenzialmente pericolosi come Escherichia Coli e lo stafilococco aureo». Tuttavia quest’abitudine sembra difficile da abbandonare.
Ieri è stato l’ultimo dei sette giorni per i sei blogger “Scontenti del contante” che si sono sfidati nella loro guerra al cash. «I primi sei giorni sono stati per così dire drammatici», spiega Gabriele Cazzullini, blogger di Genova. «Non è facile pagare un caffè con la carta di credito. Nella migliore delle ipotesi il barista si è messo a ridere, in alcuni casi mi ha dato del folle e alla fine qualcuno si è lasciato andare a spiegazioni più “razionali”: se dovessimo fatturare tutto, sa com’è…». Insomma, il vizio di chiudere un occhio sullo scontrino rimane un vizio italiano, ma Cazzullini ha trovato difficoltà anche al di là dell’evasione. «Ad esempio alla posta non è possibile pagare bollettini di importo anche elevato con carta di credito». Nulla da fare nemmeno sul fronte della prevenzione. «No cash, no sex», afferma con ironia Cazzullini: «Se devi acquistare un preservativo fuori dall’orario di apertura delle farmacie e non hai contanti devi rinunciare. Ai distributori non è ammesso alcun pagamento elettronico». Eppure a Genova il blogger ha trovato anche qualcuno che accetta ben volentieri i pagamenti con carta.«Ho trovato un besagnino nel centro storico che ha considerato normale l’acquisto non in contanti di mezzo cocomero. Come mai? Una volta una comitiva di turisti voleva acquistare una costosa cassa di grappa. Lui non aveva il Pos e così si è perso un bell’incasso. Da allora si è attrezzato».
«Siamo molto lontani, ad esempio, dalla Svezia dove il 95 per cento delle transazioni si svolgono con sistema elettronico», nota Emili, «ma credo che iniziative come la prima ventiquattr’ore senza cash, che si è tenuta il 21 giugno, e la “No Cash Week” che si è conclusa questa settimana possano far riflettere».
Per ora la distanza con la Svezia rimane sostanziale. E se il ministro del Tesoro svedese ha sostenuto, «che ormai a utilizzare le banconote sono solo malavita e vecchiette»; dal nostro ci basterebbe un po’ di chiarezza sulle preferenze nelle modalità di pagamento.