La Cina ha 541 miliardi di dollari di passività non conteggiate. L’allarme lo lancia Moody’s, puntando il dito sulla scarsa trasparenza del Governo di Pechino. Secondo l’agenzia di rating statunitense, le amministrazioni locali cinesi non hanno 1.310 miliardi di dollari (8.500 miliardi di yuan) di indebitamento, come certificato dal National audit office (Nao). Sulle spalle di Beijing ci sarebbero infatti 3.500 miliardi di yuan in più, omessi dai bilanci statali. Nessun commento è giunto dall’ufficio statistico.
«Crediamo che la maggior parte dei prestiti ai governi locali sino di buona qualità, ma in base alla nostra valutazione sulla classificazione dei prestiti e le caratteristiche di rischio, possiamo concludere che l’esposizione delle banche verso i governi locali sia più alta di quanto ci aspettassimo». Con queste frasi Yvonne Zhang, analista della società di rating newyorkese, sta facendo tremare Pechino. Attualmente, secondo i dati del Fondo monetario internazionale, il debito pubblico cinese è pari al 18% del Prodotto interno lordo (Pil). Ma secondo l’analisi compiuta da Moody’s sulle statistiche del Nao, dovrebbe essere all’82 per cento. Questo perché, nel computo delle passività statali, non rientrerebbero i 541 miliardi di dollari che le banche cinesi hanno incagliati nelle pubbliche amministrazioni. Un valore che rientra fra l’8 e il 12% dei prestiti complessivi.
Il rischio è che il sistema bancario della seconda economia globale possa non essere pronto all’impatto. I crediti dubbi continuano ad aumentare, di pari passo con la bolla immobiliare, e un segnale di questa tendenza è dato dall’innalzamento delle riserve bancarie obbligatorie (Required Reserve Ratio, o RRR). Secondo Beijing queste operazioni servono a sterilizzare la liquidità in eccesso nel sistema, al fine di contenere l’inflazione, data al 6,2% nel mese di giugno. Ma secondo molti, come il premio Nobel Paul Krugman, è il tentativo di aumentare i requisiti di capitale degli istituti di credito al fine di sopportare gli effetti della bolla immobiliare.
Quindici giorni fa la People’s Bank of China ha deciso il sesto innalzamento delle RRR del 2011. Il requisito è stato portato al 21,5% per le entità maggiori, 19,5% per quelle minori, con il risultato che 58,7 miliardi di dollari (380 miliardi di yuan) sono stati drenati dai mercati. Nel frattempo, Beijing sta continuando nell’aumento delle riserve in valute estere, attestatesi a giugno in 3.047 miliardi di dollari.
Il dibattito sulla trasparenza dei dati statistici diramati da Pechino non è nuovo. Secondo le previsioni del Consiglio di Stato la crescita del Prodotto interno lordo cinese nel 2011 si attesterà sul 9,2%, un dato che soddisfa pienamente le aspettative degli analisti. «Una crescita economica del 6% ogni anno è sufficiente per la Cina per stabilizzare l’occupazione, quindi le preoccupazioni sulla stagflazione sono infondate», ha detto nei giorni scorsi Zhu Baoliang, capo economista del dipartimento di previsione del Centro di Informazione dello Stato. Tuttavia, anche per Beijing continua a preoccupare la reale entità delle grandezze economiche. Una su tutte, il debito. Per Moody’s i 541 miliardi di dollari non conteggiati dalle autorità potrebbero essere anche di più e sarebbero, in potenza, capaci di spingere al ribasso le previsioni sul rating cinese nei prossimi 24 mesi.
Un’altra incognita sulla Cina è rappresentata dalla bolla immobiliare. Nel 2009 i prezzi delle abitazioni nelle prime nove città cinesi sono aumentati del 10%, secondo le stime della banca elvetica Ubs. Nel 2010 l’incremento è stato del 21,5%, ma pochi mesi fa c’è stata l’inversione di tendenza. Nello scorso aprile l’indice dei prezzi degli immobili è caduto del 4,9% su base mensile. Un crollo che, secondo il Wall Street Journal, può essere il preludio dello scoppio della bolla del real estate. Del resto, a metà aprile l’agenzia di rating Fitch aveva tagliato l’outlook su Pechino, adducendo come motivazione, fra le altre, proprio gli squilibri dei prezzi degli immobili. «L’elevata crescita del credito, il costante aumento dei prezzi degli immobili e, più recentemente, le pressioni inflazionarie, hanno incrementato i rischi per la stabilità del sistema finanziario cinese», spiegava Fitch. Inoltre, «a questa situazione si aggiungono i rischi derivanti dai debiti del settore bancario e delle amministrazioni locali». Esattamente quanto specificato oggi da Moody’s.