La Norvegia ha quasi cinque milioni di abitanti e, secondo i dati dell’International Centre for Prison Studies, 3602 detenuti. In realtà da qualche giorno la popolazione carceraria norvegese ha fatto un nuovo acquisto: Anders Behring Breivik, reo confesso delle stragi del 22 luglio.
Breivik è stato incriminato per atti di terrorismo. Come spiega a Linkiesta il professor Tore Lunde, docente di diritto commerciale presso l’università di Bergen, Breivik deve fare i conti con «la sezione 147a del codice penale norvegese, primo paragrafo lettera a e b. La lettera a riguarda gli atti che destabilizzano o distruggono una funzione di vitale importanza per la società, ad esempio il governo. La lettera b inerisce agli atti che generano una grande paura nella popolazione».
Perché Breivik sia processato bisognerà attendere. Forse anche un anno, «principalmente per via delle approfondite investigazioni tecniche e tattiche che devono essere condotte. – continua Lunde – La pena è al massimo ventun anni di reclusione; comunque può essere combinata con il cosiddetto forvaring, in forza del quale è possibile tenere un condannato in detenzione per periodi di tempo addizionali, normalmente di cinque anni. Questo istituto legale, che è soggetto a una procedura penale a sé stante, è tipicamente usato nei casi dove è probabile che la persona commetta nuovi reati gravi in futuro». In altre parole quando si ha a che fare con individui troppo pericolosi per essere rimessi in libertà. Per il dottor Thomas Ugelvik, criminologo e studioso di sistemi penitenziari all’università di Oslo, grazie al forvaring è molto probabile che Breivik «rimarrà in prigione per più di ventun anni».
Nelle ultime ore sembrerebbe però prendere corpo l’ipotesi di cambiare l’imputazione: da atti di terrorismo a crimini contro l’umanità. In questo caso gli anni di reclusione salirebbero a trenta. In entrambe le eventualità, se fosse dichiarato colpevole, Breivik risulterebbe il peggiore criminale della storia norvegese dai tempi di Vikdun Quisling, il dittatore che governò il Paese per conto di Hitler, e che fu processato e fucilato dopo la fine della guerra.
D’altra parte Geir Lippestad, avvocato di Breivik (e attivo membro del Partito Laburista norvegese), parla già di «follia» del cliente, e pretende che si sottoponga a «esami psichiatrici». Ciò è comprensibile, dato che probabilmente non esistono linee difensive migliori. Secondo Lunde «se fosse giudicato colpevole, ma mentalmente infermo durante la commissione dei suoi atti criminali, il signor Breivik potrebbe comunque rimanere in detenzione, se considerato una minaccia alla società». Da quanto però si apprende dai giornali locali, un simile verdetto appare improbabile.
In base alle testimonianze raccolte da Linkiesta, sembra che i norvegesi confidino nella loro giustizia. Nonostante su Facebook crescano le adesioni alle pagine anti-Breivik (con nomi che sono tutto un programma: da «Brucia Anders Behring Breivik» a «Coloro che odiano Anders Behring Breivik») nel regno nordico prevalgono lo sdegno, il dolore e la compostezza. La commovente fiaccolata delle rose a Oslo ne è una prova.
«La Norvegia ha un sistema legale piuttosto efficiente e ben funzionante – spiega Lunde – La lunghezza di un processo di primo grado può variare molto, dipende dalla complessità del caso. Casi difficili possono richiedere settimane o mesi. I casi più semplici possono essere decisi sulla base di procedure alquanto rapide, in poche ore, o spesso in uno o due giorni». Lunde tiene poi a precisare che «al primo grado di giudizio il signor Breivik sarà giudicato da un collegio di tre membri: un giudice professionista e due laici. In caso di appello a decidere sarà una giuria».
Al momento Breivik è già dietro le sbarre. «La corte cittadina di Oslo, rappresentata da un giudice professionista, ha emesso un ordine di detenzione, ritenendo che la polizia abbia sufficienti prove per sospettarlo di quanto detto. – afferma Lunde – L’ordine di detenzione consente alla polizia di tenerlo in stato di arresto per otto settimane, le prime quattro in isolamento, e tutte e otto senza alcun accesso a visitatori, lettere, giornali o altri media. E molto probabilmente questo periodo sarà prolungato, forse sulla base di condizioni diversi per quanto riguarda l’isolamento e l’accesso ai media».
È bene sottolineare che il sistema carcerario norvegese è uno dei migliori del mondo. Se è vero che un Paese si giudica dalle sue prigioni, allora la Norvegia è forse il posto più civile che esista. Come spiega Ugelvik, «il nostro sistema penitenziario è piccolo. Abbiamo molte prigioni sparse per il Paese. Alcune sono davvero piccole, hanno circa venti detenuti, la più grande è Oslo con quattrocento. Il tipico braccio di un carcere ha tra i dodici e i sessanta detenuti. Le celle sono piccole, circa otto metri quadri, e per ogni cella c’è un solo prigioniero. Di solito i carcerati hanno poi un soggiorno comune e una piccola cucina da condividere».
In Norvegia non esiste il «carcere duro». È probabile però che Breivik (se giudicato colpevole, molto pericoloso e con dei complici) «possa trascorrere almeno una parte della sua pena nel braccio di massima sicurezza del carcere [di Oslo]». Il sistema carcerario norvegese è orientato alla riabilitazione dell’individuo, «a preparare i prigionieri a funzionare come cittadini», continua Ugelvik; lo studioso riconosce però che, nel caso dell’autore della strage di venerdì, «la riabilitazione non è il principale obbiettivo». Nel complesso sembra che il sistema giudiziario e penitenziario norvegese, così soft per certi falchi di casa nostra, funzioni. Secondo Eurostat tra il 2006 e il 2008 per ogni centomila abitanti ci sono stati 0,7 omicidi in Norvegia, 1,06 nella confinante Svezia e 1,13 in Italia. E per il già citato International Centre for Prison Studies, in Norvegia ci sono 73 detenuti ogni centomila abitanti, contro i 78 della Svezia, i 111 dell’Italia e addirittura i 743 degli Usa.
«Se ci limitiamo al penale, e tralasciamo il resto, possiamo dire che rispetto agli altri Paesi europei noi norvegesi diamo più peso all’aspetto umanitario del diritto, e questo significa generalmente pene non molto lunghe» – dichiara a Linkiesta Eivind Kolflaath, professore associato alla facoltà di diritto dell’università di Bergen. Che tanti norvegesi siano convinti che una pena molto lunga non abbia una gran funzione preventiva sembra assodato. Tuttavia l’opinione comune potrebbe mutare dopo la strage. In fondo lo stesso primo ministro Jens Stoltenberg ha ammesso, in un’intervista, che «la Norvegia cambierà. Ci sarà un prima e un dopo».
Cautela, raccomandano però gli esperti. A parere di Ugelvik non sarebbe «una buona cosa basare una politica di diritto penale su un singolo caso. Penso che non sia un’idea valida perfino quando il caso è così particolare. Dopotutto si tratta di un episodio unico».
Kolflaath, che è un filosofo ma si occupa anche di diritto penale, pensa che dopo i fatti del 22 luglio «la sicurezza degli edifici pubblici e dei politici sarà rafforzata, e la gente potrebbe essere più disponibile ad accettare un maggior livello di sorveglianza».
Uccidendo più persone di quante ne siano state assassinate tra il 2007 e il 2008 in tutto il Paese, Breivik è riuscito a traumatizzare un’intera nazione. Ma non è detto che riesca a rubargli anche l’anima. Anzi. Come ha detto il primo ministro Stoltenberg, la miglior vendetta è una maggior democrazia. Il 22 luglio non diventerà l’11 settembre della «società aperta» norvegese.