Canta che la crisi passa. Le strade del Bronx non hanno nulla a che fare con i piani alti di Wall Street o dei lussuosi appartamenti in Park Avenue dove vivono i banchieri statunitensi, né tantomeno con i tappeti pregiati che adornano i pavimenti del Dipartimento del Tesoro americano. Da tre anni, tuttavia, la narrazione più immediata dei disastri finanziari americani si trova sugli schermi di Youtube, scandita a tempo di rap (e non solo).
A quindici giorni dal fallimento di Lehman Brothers, il 30 settembre 2008, sul sito di video sharing viene pubblicato il «Bailout rap», il j’accuse nei confronti del salvataggio dell’alta finanza a stelle e strisce condotto dall’ex numero uno di Goldman Sachs, poi ministro del Tesoro nell’amministrazione Bush, Henry Paulson. Alcune rime spiegano la situazione meglio degli articoli del Wall Street Journal, ad esempio: «Non importa come sia successo, i prezzi delle case sono caduti, e quando sono cominciati i pignoramenti, le banche sono fallite. Questo succede quando hai una leva 30 a 1».
Divertentissimo e demenziale il punk pop di «We didn’t see it coming», «Non l’abbiamo vista arrivare (la crisi)» postato su Youtube ad agosto 2010. Eccezionale la memoria “musicata” di Lloyd Blankfein, amministratore delegato della banca d’affari Goldman Sachs.
Altre tensioni politico-economiche, altre canzoni per raccontarle. A novembre 2010, il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, accusa nuovamente la Cina – grande acquirente del debito americano – di mantenere artificialmente basso il valore dello yuan, svantaggiando le esportazioni statunitensi. Un Obama in versione ghetto superstar affronta un arrabbiatissimo Hu Jintao a colpi di freestyle: «Stai a sentire, Hu, ho qualcosa da dirti. Il protezionismo non è più cool. Non sto dicendo che sei un manipolatore di valuta, ma devi lasciare fluttuare lo yuan. Uno yuan sottovalutato fa alzare i prezzi dei beni di consumo in Usa». Ovviamente, il premier cinese risponde: «Sei tu il colpevole della grande recessione, quindi non venire da me a cercare concessioni».
Dedicata ai palati più fini la sfida rap (c’è anche la versione con sottotitoli in italiano) tra i due economisti più citati nelle cronache della più grande disastro finanziario dal ’29: John Maynard Keynes e Friedrich Von Hayek. Il primo, inventore della moderna macroeconomia, è il grande sostenitore del ruolo dello Stato nello stimolo alla domanda, mentre il secondo, all’opposto, è convinto del fallimento di qualsiasi economia pianificata a livello centrale da un Governo. La produzione è di Econstories.tv, e non ha nulla di amatoriale. È nato un nuovo genere musicale?
(Qui la prima versione della canzone)
Naturalmente, era solo questione di tempo. La querelle sull’innalzamento del tetto al debito pubblico americano tiene gli operatori sui mercati con il fiato sospeso, e il dibattito tra repubblicani e democratici diventa un rap, in cui un tale di nome Remy chiede, nemmeno troppo gentilmente, a Barack Obama e John Boehner, il portavoce dei Repubblicani alla Camera, di trovare un accordo, e in fretta. Alcune strofe: «Spendere soldi che non abbiamo, questo è il nostro gioco» e ancora: «Siamo alla Fed, viviamo con stile, beviamo da bicchieri di cristallo, spendendo un sacco di soldi».
Piuttosto amara la rima finale: «Stiamo per fallire, se andiamo avanti così, ma dovevamo pensarci 14 trilioni di dollari prima». Una conclusione che trova d’accordo gli analisti di mezzo mondo. Canta, che il default si allontana.