Nel 2006 il Museo di storia naturale di Oslo inaugurò una mostra intitolata “Contro natura”. Il tema era l’omosessualità tra gli animali, e il messaggio che il Museo voleva comunicare era chiaro: “L’omosessualità è un fenomeno diffuso in tutto il regno animale.” Un pugno di fondamentalisti cristiani locali non gradì, e uno di loro arrivò a dichiarare che gli organizzatori della mostra sarebbero “bruciati all’inferno”. La mostra tuttavia fu un successo, e nonostante gli anatemi e le condanne al fuoco eterno intere famigliole andarono a visitarla.
Il fatto è che, a differenza di altri Paesi, nella tollerante Norvegia religione e scienza non sono ai ferri corti. Per molti cittadini credere in Dio, o definirsi cristiani, non significa aderire a un dogmatismo inflessibile. Oltre l’85% della popolazione dice di appartenere alla Chiesa Evangelica Luterana di Norvegia; tuttavia solo una frazione minima (il 5% della cittadinanza, secondo le ultime statistiche disponibili) si reca regolarmente a messa: un dato tra i più bassi di tutta l’Europa occidentale.
Ecco perché i fatti delle ultime ore appaiono ancora più assurdi. Dietro l’ondata di terrore che venerdì ha investito il regno scandinavo c’è infatti un fondamentalista cristiano di estrema destra, forse aiutato da uno o più complici. Un norvegese bianco di 32 anni, biondo e atletico, che su Facebook si definiva un single cristiano, conservatore e anti-islamico.
Anders Behring Breivik però non è la Norvegia. Che resta una delle nazioni più aperte, tolleranti ed evolute d’Europa, con il miglior indice di sviluppo umano del pianeta. Un Paese dove più della metà delle donne tra i 25 e i 29 anni vanta un’educazione superiore. E dove nelle carceri i detenuti, anziché vegetare in celle malsane, imparano l’inglese e preparano sorbetti in appositi laboratori di cucina.
«Come in ogni Paese, pure in Norvegia ci sono persone che non vogliono gli stranieri, ma sono molte meno che in Danimarca», spiega a Linkiesta un immigrato pakistano che preferisce non rendere nota la sua identità.
Nel complesso la Scandinavia sta virando sempre più a destra. A parte la piccola Islanda, dove il primo ministro è Johanna Sigurdardottir (socialdemocratica e apertamente gay), tutti gli altri Paesi scandinavi sono governati dal centrodestra. Tutti tranne la Norvegia, il cui primo ministro è il laburista Jens Stoltenberg. Un economista ateo che ha ammesso di aver fatto uso di cannabis in gioventù.
Nello Storting, il Parlamento di Oslo, non c’è un solo radicale di destra. È vero che il Partito del Progresso (FrP), conservatore e liberista, è la seconda formazione nazionale, tuttavia si tratta di una forza totalmente rispettosa della Costituzione, distante anni-luce da qualsiasi deriva violenta. Non a caso la leader del FrP, la quarantaduenne Siv Jensen, ha definito la strage “un attacco contro la democrazia norvegese e la nostra nazione in quanto tale”. E si è detta molto rattristata nello scoprire che Breivik ha militato in passato nel suo partito.
Il FrP è noto per la sua linea dura contro quella che definisce “islamizzazione furtiva” della società norvegese. Durante la campagna elettorale del 2009 la Jensen, fan sfegatata di Margaret Thatcher, ha dichiarato: «Se il Partito del Progresso governerà la Norvegia, noi faremo rispettare il diritto norvegese e le regole norvegesi. Non accetteremo richieste particolari da nessun gruppo sociale.» Un anno dopo, in un seminario organizzato dalla Henry Jackson Society (influente think tank neoconservatore inglese), ha detto: «In quanto liberale classica che rappresenta un partito liberale classico, mi oppongo a qualsiasi discriminazione basata sulla razza, il genere, la religione, l’orientamento sessuale o le origini etniche.» E quindi: «Siamo riusciti a sconfiggere sia il nazismo che il comunismo, ma il totalitarismo è di nuovo in ascesa, e il suo nuovo volto è il volto dell’islamismo. Ovviamente sappiamo che ci sono molti tipi di islamismo: io parlo di quello radicale, militante, violento. L’arena degli islamisti è la religione islamica, ma devo sottolineare che l’Islam stesso non è necessariamente la minaccia. Il problema è che i radicali hanno in qualche modo preso in ostaggio la religione islamica. Considero la guerra contro il radicalismo islamico come una delle più importanti battaglie dei nostri tempi.» E nelle quindici proposte del FrP per rinnovare la Norvegia, l’ultima recita: “implementare una politica di immigrazione responsabile combinata con un’attiva politica di integrazione.”
Nel regno scandinavo circa il 7% della popolazione è nato all’estero, ma gli immigrati musulmani sono appena centocinquantamila, concentrati soprattutto nelle grandi città. L’islamofobia sta crescendo, tuttavia è ancora sotto i livelli di guardia. Idem per razzismo e omofobia (anzi: la Norvegia è stato il primo Paese della regione a consentire i matrimoni omosessuali).
Ciò spiega come mai la strage di venerdì sia stata un fulmine a ciel sereno per così tanti norvegesi. «Nessuno si aspettava che qualcosa del genere accadesse. È scioccante», dichiara a Linkiesta Johannes Bergh, scienziato politico presso l’Istituto per la ricerca sociale (ISF) di Oslo.
Lo stesso servizio di sicurezza della polizia norvegese (PST), capeggiato dalla giurista Janne Kristiansen, è stato colto di sorpresa. Nel suo rapporto annuale, risalente a marzo, si può leggere: “come negli anni precedenti, nel 2011 le comunità radicali dell’estrema destra e dell’estrema sinistra non rappresenteranno una seria minaccia alla società norvegese. Nel 2010 c’è stato un incremento dell’attività dei gruppi radicali di estrema destra, e ci si aspetta che questa attività continui nel 2011. Un aumento delle attività di alcuni gruppi anti-islamici potrebbe condurre a una maggiore polarizzazione e inquietudine.”
In realtà sarebbe più opportuno chiamare i gruppi dell’estrema destra norvegese gruppuscoli, date le loro ridotte dimensioni. Ma proprio la loro frammentarietà potrebbe spiegare la tragedia. Un movimento forte e organizzato cerca di conquistare il potere vincendo le elezioni, non con atti di terrore insensato (Hitler docet). Tutto però cambia quando si tratta di uno o due cani sciolti, in balia dei loro demoni e della loro megalomania. Pensiamo solo al responsabile della strage di Oklahoma City, il ventisettenne Timothy James McVeigh: un razzista con un passato da militare, convinto che il governo americano fosse una dittatura fascista, e che preparò le sue bombe con del fertilizzante.
La Norvegia non è un regno oscuro sull’orlo dell’abisso. L’estrema destra è molto più radicata nella confinante Svezia, che con la Norvegia condivide vincoli secolari. Nel già citato rapporto della PST si legge infatti: “i radicali dell’estrema destra norvegese sono in contatto con i radicali dell’estrema destra svedese, così come con altri gruppi europei.”
Non a caso secondo la fondazione antirazzista Expo (creata dal giornalista e romanziere svedese Stieg Larsson, autore della celebre trilogia Millennium), Breivik era iscritto a Nordisk, un forum neonazista svedese con oltre ventimila membri, dove si postano messaggi del tipo “Le auto parcheggiate vicino a grandi palazzi, con del fertilizzante + diesel, danno una bella esplosione. I grattacieli vengono giù come le Torri gemelle.”
Se bisogna trovare un segno di speranza in questa tragedia, è la reazione della società norvegese stessa. A cominciare dalle parole del suo primo ministro: «Non dobbiamo mai rinunciare ai nostri valori. Dobbiamo mostrare che la nostra società aperta può superare anche questo esame. Che la risposta alla violenza è addirittura più democrazia. Più umanità.» Bergh conferma: «Tutti i partiti politici hanno condannato quello che è successo. Penso che probabilmente ci sarà uno sforzo per aumentare il livello di sicurezza, ma la gente sembra determinata a tenere aperto il dibattito politico, a conservare una società aperta.»