Nella manovra varata dal Governo, è stata decisa l’epurazione di avvocati e commercialisti, e non solo, dai collegi giudicanti delle Commissioni tributarie provinciali e regionali. Una decisione che sembra discendere da una presunzione assoluta di inaffidabilità dei liberi professionisti.
Le incompatibilità dei giudici tributari introdotte per tutti gli iscritti agli Albi professionali – e per i loro coniugi, conviventi, parenti fino al terzo grado o affini in primo grado nella partecipazione – determinano un gravissimo impoverimento intellettuale in una disciplina estremamente complessa come quella tributaria, che richiede una preparazione ed un formazione non soltanto giuridica, ma anche tecnica, contabile, economica ed aziendalistica propria soltanto di alcune professioni economico-giuridiche.
Il modello ideale, fin qui operante, è costituito da un magistrato (garante dell’applicazione imparziale della Legge), da un avvocato (garante delle prerogative della difesa) e da un commercialista (garante della corretta applicazione delle discipline contabili, economiche, di bilancio, aziendalistiche e di gestione delle varie modulistiche). E invece sarà sostituito da un “ibrido” formato prevalentemente da magistrati e sostanzialmente da impiegati di elevato livello, digiuni da qualunque esperienza diretta nelle materie interessate dall’obbligazione tributaria, contribuenti a reddito fisso e oltretutto pagati dallo Stato, del quale l’Agenzia delle Entrate costituisce la longa manus che procura le risorse finanziarie necessarie. Magari affiancati da pensionati o da dipendenti dello Stato o da ex militari della Guardia di finanza o da insegnanti di materie economiche o giuridiche. Difficilmente un collegio così formato potrà avere la giusta sensibilità e, sia detto con il massimo rispetto, la competenza adeguata per affrontare le complessità della materia tributaria. È peraltro curioso che, se quei signori dovessero avere un prossimo congiunto iscritto ad un Albo, la loro affidabilità resterebbe comunque integra!
La norma rivela una sfiducia preconcetta verso tanti professionisti di provata capacità, affidabilità, serietà ed imparzialità che per lustri hanno, pressoché gratuitamente, assolto al compito di gestire la giustizia tributaria con pronunce spesso pregevoli nei contenuti anche giuridici (basta consultare una qualunque rivista specializzata o raccolta di giurisprudenza di merito per sincerarsene).
L’ampliamento indiscriminato e generalizzato delle incompatibilità è del tutto ingiustificato e persino oltraggioso per i tanti componenti effettivi delle attuali Commissioni tributarie e per gli appartenenti agli Albi che, dopo aver onorevolmente e gratuitamente servito la giustizia tributaria, sono diventati inaffidabili per presunzione assoluta di legge. Davvero un bel ringraziamento. Possibile che sia farina del sacco del ministro, e già avvocato tributarista, Giulio Tremonti?
Oltretutto non si capisce come la norma possa convivere con quelle disseminate nell’ordinamento processuale che consentono a quegli stessi iscritti agli Albi e/o ai loro familiari l’assunzione di funzioni giudiziarie importanti quali quelle dei giudici di pace, dei giudici onorari, dei vice procuratori onorari e perfino i giudici popolari: la loro affidabilità è riconosciuta in tutti i campi dell’ordinamento giuridico, eccettuato solo quello tributario? E per quale recondito motivo?
Se davvero fosse lecito presumere iuris et de iure che in materia tributaria esiste un latente conflitto di interesse che tende a preferire la posizione del contribuente, allora deve essere altrettanto lecito presumere che lo stesso conflitto di interessi sussiste quantomeno per i magistrati e i dipendenti dello Stato nei confronti dell’amministrazione finanziaria che procura le risorse necessarie per pagare i loro emolumenti. E allora l’epurazione non può finire qui!
*Avvocato tributarista del foro di Macerata
Presidente del Movimento in difesa dei lavoratori autonomi