Gli Stati Uniti hanno perso la bussola. Nella scorsa serata sono fallite le ultime trattative per far approvare il piano di innalzamento del tetto del debito (debt ceiling) proposto dal presidente della Camera John Boehner. Troppe le spaccature interne al partito repubblicano. Il tempo continua a scorrere inesorabile verso quel 2 agosto che sembra essere lo spartiacque del futuro economico del mondo. Il deal con ogni probabilità arriverà nel weekend, ma gli Usa stanno giocando una partita che li vede comunque perdenti sotto il profilo della credibilità. Il presidente Barack Obama ha convocato d’urgenza una conferenza stampa, avvenuta alle 16:30 italiane, in cui ha chiesto di fare «ulteriori sforzi bipartisan per evitare il default». E per la prima volta, Obama ha espressamente detto che «gli Stati Uniti potrebbero perdere il rating AAA per via delle questioni politiche».
Dopo una notte turbolenta, John Boehner ha tentato di riallacciare i rapporti all’interno del partito repubblicano. C’era da sanare la spaccatura interna sul progetto di innalzamento del debt ceiling, che ha visto 25 deputati del Grand old party contrari all’ultima proposta di Boehner. Lo speaker della Camera non ha infatti presentato il suo piano, non avendo la certezza dei 216 voti minimi, e tutto è saltato. L’occasione è stata ghiotta per Obama, che ha invocato all’attivismo i cittadini americani: «Dovete fare pressione sul Congresso, su Washington, con tutti i canali che avete, dalle telefonate alle mail, passando per Facebook e Twitter». Il presidente si è però detto «convinto» che un accordo arriverà entro martedì prossimo, data ultima fissata dal Tesoro per l’innalzamento del debt ceiling. «Lavoreremo tutto il weekend per approvare l’aumento del tetto del debito entro lunedì», ha detto Obama. Tuttavia, va ricordato che le stesse parole le aveva pronunciate una settimana fa. Il deal doveva arrivare mercoledì. Siamo già a venerdì e di una soluzione, nemmeno l’ombra. Ma c’è di più.
Oggi l’America si è svegliata con due problemi. Oltre a quello del debt ceiling, in cui democratici e repubblicani continuano a rasentare la follia suicida, l’economia ha subito un netto rallentamento nel secondo trimestre dell’anno, passando dal +1,8% del primo all’1,3 per cento. Numeri che stanno facendo tremare la Casa bianca, che teme che si possa innescare una lunga discesa economica capace di sfociare in una recessione. Il tutto con un costante deterioramento occupazionale. A commentare i dati sul Pil ci ha pensato Austan Goolsbee, presidente del Council of Economic Advisers della Casa Bianca. «Siamo in un momento fragile per l’economia mondiale e non possiamo permetterci di fare nulla che metta a rischio la ripresa», ha detto Goolsbee. Secondo il funzionario, molto vicino al presidente Obama, «il tasso di disoccupazione è inaccettabilmente alto e una crescita più veloce è necessaria per recuperare i posti di lavoro persi con la recessione». Da Goolsbee è arrivato poi il monito ai repubblicani sul debt ceiling: «I dati del Pil evidenziano la necessità di mettere fine all’incertezza sul rischio di default e di adottare un approccio bilanciato alla riduzione del deficit». Alla luce di questo, il presidente della Federal Reserve di St. Louis, James Bullard, ha aperto alla possibilità di una terza tornata dell’allentamento quantitativo (quantitative easing). «Mai dire mai», ha detto Bullard parlando degli stimoli per rilanciare l’economia.
Come se non bastasse, sta aumentando la tensione degli operatori finanziari intorno alla possibilità di un default statunitense. I money market fund stanno aumentando la loro liquidità in previsione dello scenario peggiore, quello della dichiarazione d’insolvenza. Tuttavia, vanno specificati due aspetti. Il debt ceiling, fissato a quota 14.290 miliardi di dollari, è già stato superato nei mesi scorsi. Ciò significa che il Tesoro non ha potuto emettere nuovo debito, ma solo rinegoziare quello precedente. Un’esperienza che, come ha ricordato il Wall Street Journal due giorni fa, dovrebbe già far riflettere sulla situazione in cui versano gli Stati Uniti. Inoltre, non è detto che si debba per forza arrivare all’insolvenza statunitense. No, secondo il quotidiano online americano Slate, quello che potrebbe succedere dopo il 2 agosto non sarebbe default. Sarebbe il blocco completo di tutto l’impianto federale. Sebbene questo evento possa scatenare una serie di conseguenze del tutto inaspettate per l’economia globale. La portata di uno stop statunitense, a cui farebbe seguito un downgrade del rating sul debito sovrano, sarebbe sistemica e secondo un report di Bank of New York Mellon potrebbe essere peggiore del crac di Lehman Brothers. «Anche in caso di accordo sul debito, il downgrade del rating è probabile e potrebbe bloccare i mercati secondari per diversi giorni», fa notare la banca d’affari newyorkese.