Fini e la solitudine di un leader mancato

Fini e la solitudine di un leader mancato

Sembra un’era geologica fa e invece sono trascorsi appena otto mesi da quel 14 dicembre 2010. Fior di commentatori politici e e anche gran parte dell’intellighenzia e della classe dirigente nazionale aveva già pronti i panni della nuova divisa. Sarebbe passato alla storia come il giorno della fine della seconda repubblica e quindi la nascita della terza. 

Un passaggio epocale affidato all’ex delfino di Giorgio Almirante, il post-fascista che nel corso della sua carriera ha saputo traghettare il Movimento sociale dai ghetti dell’estrema destra al centro della contesa politica e del potere. Lui, Gianfranco Fini, sembrava inarrestabile. Un crescendo, il suo. Sempre un passo indietro rispetto a Berlusconi, ma con qualche stoccata per smarcarsi ogni tanto. Uno dei primi fu il voto al referendum per la fecondazione assistita. Poi è stato un crescendo, fino all’aria diventata irrespirabile in seno al Pdl e quel plateale: “che fai, mi cacci?” davanti a tutt’Italia.

Come ogni duello che si rispetti, bisogna mettere in conto lo scorrimento di sangue. E quel 14 dicembre avvenne quel che gli esperti della politica non avevano compreso o avevano fatto finta di non comprendere. L’assalto di Fini e del suo neonato Futuro e libertà naufragò. Da quel giorno la sua stella si è progressivamente spenta, entrando in un cono d’ombra dal quale ormai il presidente della Camera fa sempre più fatica a uscire. Il suo partito si è dissolto al Senato. Ed è di oggi la notizia, che Andrea Ronchi, Adolfo Urso e Pippo Scalia (che si era già dimesso da coordinatore di Fli in Sicilia) hanno lasciato Futuro e libertà per il gruppo misto. In una nota dichiarano di aver preso la decisione dopo aver letto la proposta del neosegretario del Pdl Angelino Alfano di creare «una costituente popolare per realizzare un soggetto politico che si ispiri ai valori e ai programmi del Ppe».

A Gianfranco Fini restano ormai pochi fedelissimi. Su tutti, ovviamente, Italo Bocchino, che ha definito l’uscita dei tre una non-notizia, «la notizia sarebbe stata la loro volontà di lavorare per Fli». Ma, soprattutto, il presidente della Camera è stato dimenticato da quegli opinion-maker che avevano già tratteggiato per lui un luminoso futuro da statista. 

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