«Quando l’ho letto facevo fatica a crederci». Luigi Campiglio, professore di Politica economica nell’Università Cattolica di Milano, non nasconde il suo sgomento di fronte all’aspetto più «assurdo» fra quelli contenuti nella manovra presentata finalmente ieri alla stampa: l’imposizione di un bollo da 120 euro annuali sull’estratto conto dei titoli depositati in banca (che diventano 150 euro dal 2012, e 380 euro oltre 50mila euro). Il rischio è che la gente – soprattutto i piccoli risparmiatori con investimenti di poche migliaia di euro, su cui il bollo pesa proporzionalmente di più – smetta di comprare titoli di Stato come i Bot e i Bpt. In un momento in cui sta crescendo la diffidenza degli investitori internazionali verso i governi indebitati, qual è l’Italia. Campiglio parla apertamente di un’imposta «problematica» per i suoi effetti sulla stabilità finanziaria e che presenta «profili di incostituzionalità».
Professor Campiglio, perché la stangata sui risparmi decisa dal ministro Giulio Tremonti è “problematica”?
Nell’attuale situazione finanziaria internazionale, una variabile importante da tenere sotto controllo è la percentuale di debito sovrano detenuto da residenti e da non residenti. Come è dimostrato ampiamente sia dall’esperienza sia dalle ricerche scientifiche sul tema, il debito estero è molto sensibile alla volatilità dei mercati. In altri termini, se ci sono tensioni e crisi, i primi a sparire sono proprio i compratori esteri. Quindi per i governi indebitati diventa importante tenersi buoni, o quanto meno non scoraggiare, gli investitori interni. Prendiamo il caso del Giappone, dove il rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo ha raggiunto il 220 per cento. Se si chiede a un operatore di mercato un’opinione al riguardo, la risposta che uno riceve è che il debito pubblico giapponese non è un problema perché è in mano alle stesse famiglie giapponesi, e quindi è una faccenda interna, quasi una cosa “in famiglia”.
E in Italia?
Una quota importante del nostro debito pubblico è in mano estera. Ma nei primi anni ’90, l’Italia ha potuto attraversare una situazione persino peggiore di quella attuale grazie al fatto che il piccolo risparmiatore non è arrivato mai a chiedersi se fosse il caso di sottoscrivere o no, anche perché rendevano bene in termini di interessi nominali. Semmai, c’è stata una tendenza a una riduzione della scadenza.
Allora il Tesoro era molto attento a coltivare la vera riserva della Repubblica: i risparmi che le famiglie mettevano da parte.
Questa tassa sui risparmiatori è problematica perché rischia di rappresentare un incentivo a muoversi verso altre forme di impiego dei risparmi. Ci si è dimenticati del fatto che i risparmiatori italiani che investono in titoli di Stato italiani rappresentano un elemento di maggiore stabilità finanziaria. Il risparmiatore-residente, a meno di crisi di panico generalizzata, è più stabile nel tempo di un fondo investimento.
Che cosa succederà oggi?
Bisogna capire bene se ci sono delle vie di fuga dal punto di vista del risparmiatore. Se è una norma fiscale che non lascia scampo, allora siamo di fronte a una mini patrimoniale sui risparmi, che presenta un doppio profilo di incostituzionalità: poiché clamorosamente colpisce di più chi ha meno ricchezza, non rispetta il criterio della progressività dei sacrifici di imposta. C’è poi un aspetto più ampio, ma anche questo di rilievo costituzionale, che riguarda la tutela e l’incoraggiamento al risparmio, che sono previsti dall’articolo 47 della Costituzione. Tema questo di grande rilevanza economica, perché se si fa un’analisi dei flussi finanziari fra i settori, si vede che già nel 2006, e nel 2010 è in aumento, il saldo fra risparmi e investimenti è negativo. Detto in altri termini, gli investimenti oggi vengono finanziati con risparmi che arrivano dall’estero perché noi italiani non risparmiamo abbastanza.
La stangata sul deposito titoli non aiuterà.
Già la propensione media al risparmio è in diminuzione, se per giunta fai un’operazione di questo genere, qualche profilo di ragionevolezza economica, oltre che di costituzionalità, si pone.
A parte fare cassa in modo facile, colpendo i piccoli risparmiatori da che parte si va? Quali tipologie di investimenti ne usciranno favorite?
Non mi sembra una mossa di grande respiro e non vorrei che sotto sotto ci fosse un motivo per spingere i piccoli a ritornare sul mattone, in modo da sostenere il mercato immobiliare. Se uno ha 50mila euro e fa due conti, magari in un paesino ci compra casa, e in una grande città un box. Ecco, per dirla con una battuta, mi sembra una norma che incentivi all’acquisto dei box.
Anche polizze, buoni fruttiferi e forse fondi e gestioni patrimoniali dovrebbero scamparla.
Tutto questo mi sembra comporti una discrezionalità eccessiva. Lo strumento finanziario fortunato che non sarà soggetto al bollo sarà oggetto di una domanda massiccia. Il risultato sarà una distorsione colossale, ai danni dei titoli di Stato ma anche dell’investimento azionario, dove rischiamo un esodo che potrebbe colpire anche le aziende sane.
Il ministro Tremonti ha insistito sul contenimento della spesa pubblica, ma sugli effetti della manovra sul Pil ha glissato «per prudenza».
Ho la sensazione che nel suo complesso abbia una serie di effetti restrittivi che in alcuni casi possono e verranno recuperati con aumenti di prezzi. Già oggi l’Italia sta registrando un tasso di inflazione maggiore della media europea, e la manovra spingerà il tasso di inflazione. Di fronte a una riduzione drastica dei trasferimenti agli enti locali, anche a quelli virtuosi, che cosa si pensa che farà una parte rilevante di essi? Alzeranno le tariffe, aumenteranno i prezzi dei servizi. Sarà carburante per l’inflazione. E non vorrei che questa fosse la modalità occulta con cui si intende ridurre la spesa pubblica.
Praticamente una manovra post-bellica.
Operazioni di questo genere sono state già fatte in passato, in Italia è accaduto dopo la Seconda guerra mondiale: si mantiene stabile, in termini nominali, il livello della spesa, e si lascia che l’inflazione vada per la sua strada. Una riduzione della spesa pubblica fatta in questo modo, non efficiente e non intelligente, attraverso tagli indiscriminati, avrà effetti inflazionistici e non aiuterà un Paese che soffre già un deficit di competitività.
La domanda di maggiore efficienza e di maggiore produttività che arriva dalla società è rimasta inevasa?
Se uno vuole efficienza deve dare responsabilità alle persone che lavorano, dopodiché le persone fanno le loro scelte e ne sono responsabili. Se invece tutto arriva dall’alto come fosse il Politburo, anche chi ha lavorato bene non si vede riconoscere il merito.
Il metodo dei tagli lineari non lascia ai singoli enti alcuna libertà su come decidere di realizzare un certo ammontare di tagli. Non doveva essere il governo della sussidiarietà e del federalismo?
Invece, più centralista di così non si può. Si parla tanto di meritocrazia, ma quello che si sta facendo è una manovra di pura ingegneria contabile, senza un’idea governante del Paese. Concetti come la meritocrazia o l’idea di un controllo di gestione sono arabo rispetto all’umore prevalente.
Da Tremonti ci si aspettava di più e di meglio?
Tremonti avrà pure ogni tanto qualche idea interessante, ma temo che gli manchino le idee di governo. Anche il modo di proporsi all’opinione pubblica, con questa insistenza contabile sui saldi invariati, non mi sembra da ministro quale dovrebbe essere. Non c’è leadership. Di certo non è il potere che gli manca, visto che il ministero dell’Economia ha oggi un potere che nessuno ha mai avuto dalla fondazione della Repubblica Italiana.