BERLINO – Nel momento più basso della sua popolarità, con la Cdu che registra un deprimente 32% nei sondaggi di opinione, e i soci europei che guardano con crescente diffidenza verso la Germania nel ruolo di prima della classe, nessuno può dire che alla cancelliera manchi coraggio: in occasione di un’intervista con il canale di televisione Sat 1, lo scorso venerdì, a metà mandato, Merkel ha annunciato che non ha dubbi riguardo a riproporre la sua candidatura per le elezioni del 2013 e ha rilanciato: «spero piuttosto di conoscere presto il nome del mio sfidante dell’Spd».
Se è vero che i socialdemocratici non hanno ancora indicato il nome del loro cavallo per le prossime elezioni è altresì vero che Angie ha poco da scherzare. Secondo uno studio pubblicato lo scorso fine settimana dalla principale televisione tedesca Ard, Merkel perderebbe, nel caso di un’elezione diretta, contro entrambi gli uomini forti dell’Spd, Frank Walter Steinmeier, capogruppo in Parlamento ed ex ministro degli Esteri della Grosse Koalition, e Peer Steinbruck, ex ministro delle Finanze, la cui popolarità non ha fatto che aumentare da quando la rivista berlinese Cicero annunciò, circa due mesi fa, una sua probabile candidatura. Sul ring ipotetico di un’elezione diretta, Merkel perderebbe 37 a 48 con Steinbruck e 39 a 43 contro Steinmeier la cui popolarità ha invece fatto un salto quando annunciò di doversi ritirare momentaneamente dalla politica per donare un rene a sua moglie. È ovvio che dall’Spd abbiano risposto alla provocazione di Merkel con un laconico «non abbiamo alcuna fretta di comunicare il candidato».
“Quo vadis Ángela Merkel?” si chiedeva la scorsa settimana un dibattito trasmesso dalla catena di televisione pubblica Deutsche Welle, normalmente attenta a non criticare frontalmente la cancelliere. Nel dibattito si discutevano gli ultimi colpi di testa del governo che ha mantenuto il piede in due scarpe sulla missione in Libia e ha fatto un clamoroso dietrofront sulla propria politica energetica, cambiando in extremis una legge approvata pochi mesi prima. Se si aggiunge che per quanto riguarda la crisi nella zona euro, la cancelliera è tornata a ripetere le titubanze tanto biasimate dai soci della Ue sul salvataggio della Grecia, si capisce che non sono pochi i grattacapi del governo in questo momento.
In un discorso storico di fronte al Bundestag, esattamente sei anni fa, Merkel, allora capogruppo della Cdu, votava contro la fiducia al Governo rosso verde di Gerhard Schröder accusando il suo predecessore di mettere in pratica uno Zickzackkurs, sarebbe a dire una politica che cambia continuamente direzione e che manca di una strategia chiara e obiettivi definiti. Sono in molti ora gli analisti politici che si chiedono in Germania se la malattia dello “Zickzack” non abbia colpito anche questo governo.
Certo è che sono proprio i suoi elettori a denunciare la mancanza di chiarezza riguardo alle decisioni prese negli ultimi mesi, come l’abbandono dell’energia atomica, dopo che tanto i cristianodemocratici di Merkel come i soci liberali avevano difeso con tutte le loro forze in campagna elettorale e nei programmi la necessità di prolungare la vita delle centrali tedesche, necessarie come “tecnologia ponte” fino a quando le rinnovabili non potessero coprire finalmente il fabbisogno. La catastrofe di Fukushima e le elezioni locali alle porte hanno obbligato il governo a rivedere questo punto e tornare sui passi di Schröder: le centrali saranno spente entro il 2022. Decisioni come questa e come lo smarcamento della Germania dall’asse transatlantico sull’intervento in Libia “si dibattono e si spiegano”, hanno denunciato gli elettori conservatori in occasione di una riunione con Merkel nella Konrad Adenauer Haus di Berlino. Merkel ha ribattuto che «quando il mondo cambia, bisogna saper cambiare, sennò non si sopravvive». Ed è certo, ma non può essere questa una linea politica.
All’estero cresce l’impressione che la prima potenza economica europea non riesca a togliere gli occhi dal proprio ombelico, paralizzata da quella che gli anglosassoni chiamano le “german angst”, la paura tedesca: paura di rimanere senza soldi per colpa dei greci (o degli italiani), paura della missione in Libia (anche qui la Germania ha mantenuto il piede in due scarpe, astenendosi dalla votazione, ma appoggiando la missione “dall’esterno”), paura (forse più comprensibile) dell’energia atomica, paura, infine, che i propri cittadini fossero stati contagiati da un batterio, l’E.Coli, che veniva dall’estero.
La vocazione europeista di Merkel è stata messa in discussione lo scorso mese proprio in quella che si conosce come “la crisi del cetriolo”, quando il governo tedesco difese l’atteggiamento di alcuni politici locali che accusarono le verdure provenienti dalla Spagna, senza alcun fondamento scientifico, causando una crisi nelle esportazioni. La reazione, forse spropositata, degli spagnoli di fronte all’atteggiamento tedesco non fu che un’ennesima sbavatura nella foto di famiglia dell’Unione Europea.