L’America indebitata adesso ha davvero paura

L’America indebitata adesso ha davvero paura

L’accordo non c’è ancora. Il debito americano continua a impensierire i mercati finanziari, che non sanno più cosa aspettarsi dalle trattative fra democratici e repubblicani per l’innalzamento del limite massimo all’indebitamento. Le trattative fra il presidente Usa Barack Obama e lo speaker della Camera John Boehner proseguono, ma con lentezza. Arriva l’ultima offerta dei democratici: incremento del tetto, più tagli per quasi 2.500 miliardi di dollari e nessun aumento delle imposte. Boehner rifiuta utilizzando parole di fuoco e chiede più austerity. Il rischio è che si possa ancora arrivare a un vicolo cieco. Sullo sfondo, lo spettro del default.

L’ultima proposta dei repubblicani è un incremento a due fasi. La prima, cioè un rialzo del tetto di 1.000 miliardi, da effettuare subito, insieme a una riduzione della spesa pubblica per un pari importo. La seconda, un nuovo debt ceiling e ulteriori tagli alle uscite, sarà adottata dal 2012, in concertazione con una speciale commissione sul debito pubblico, che ha già previsto che occorrerà una contrazione della spesa pari a 3.000 miliardi di dollari. Questa soluzione, tuttavia, si scontra con quella voluta dai democratici: un’elevazione del limite di 2.420 miliardi di dollari subito, in modo da traghettare l’attuale Amministrazione fino alla prossima tornata elettorale senza altri problemi, e sforbiciate al budget per circa 2.480 miliardi, senza aumento delle tasse. Il capogruppo dei Dems al Senato, Harry Reid, ha specificato che questa sarà «l’ultima opzione che mettiamo di fronte ai repubblicani». Insomma: o prendere o lasciare. E lasciare significa il default degli oltre 14.000 miliardi di dollari, tanto vale il debito statunitense. Boehner vuole tagli strutturali e non lineari, come invece ha proposto Obama.

Il 2 agosto è il limite ultimo, fissato dal Tesoro, per l’innalzamento del debt ceiling. Dopo, se non sarà arrivato, c’è solo la dichiarazione d’insolvenza. I problemi cominceranno da subito. Il 3 agosto il programma Social Security deve erogare 23 miliardi di dollari a quasi 30 milioni di americani. Il 4 agosto il Tesoro deve rifinanziare 87 miliardi di dollari, operazione impossibile da fare con un default sulle spalle, mentre il 15 agosto deve pagare 30 miliardi in interessi sul debito. Solo nell’arco di quindici giorni Washington avrebbe problemi per 140 miliardi di dollari, senza contare tutte le altre uscite previste per far andare avanti la macchina statunitense. Proprio per questa ragione oggi è intervenuto anche il segretario del Tesoro, Timothy Geithner. «È impensabile che ci possa essere un default americano, il presidente Obama vuole giungere a un accordo per oggi, ma non vuole sottostare ai dettami dei repubblicani», ha detto Geithner. Tuttavia, il numero uno del Tesoro ha generato un’aura d’incertezza sulla congiuntura statunitense: «Nel secondo trimestre l’economia ha corso a un ritmo più lento rispetto al primo e la disoccupazione rimane un grave problema».

Sul fronte dei mercati finanziari, il nervosismo sta aumentando di ora in ora. Il capo di gabinetto della Casa Bianca, Bill Daley, in serata non ha usato metafore per descrivere la situazione. «È ora di finirla con i giochi, abbiamo tutte le piazze finanziarie che ci stanno guardando e non abbiamo più tempo da perdere», ha detto Daley alla NBC. Nel frattempo, le prime mosse ci sono state. Nella notte di venerdì scorso, poco prima del discorso di Obama, la regina di Wall Street, Goldman Sachs, ha venduto Treasury bond per 2,75 miliardi di dollari. Oggi invece i fondi del mercato monetario, cioè quei fondi comuni aperti altamente liquidi e fondamentali per il funzionamento del mercati secondari, hanno deciso di ridurre la propria esposizione sull’Europa in virtù dell’acquisto di titoli di Stato americani. Uno solo l’obiettivo: sostenere gli Stati Uniti nello scenario più avverso. Anche perché il 50% del debito Usa negoziabile sulle Borse, 4.510 miliardi di dollari, è detenuto da investitori non statunitensi, che in caso di ulteriore impasse, potrebbero decidere di rivedere i propri portafogli obbligazionari. Intanto, il dollaro americano perde terreno sia nei confronti dell’euro, tornato sopra quota 1,44, sia contro lo yen, ora passato di mano a quota 78. Vola invece l’oro, schizzato fino a un massimo di 1.624,28 dollari l’oncia, il massimo storico. È il sintomo dell’avversione al rischio degli operatori, che utilizzano il metallo giallo come bene rifugio.

Con ogni probabilità il debt ceiling sarà innalzato. Il pericolo potrebbe però essere un altro. Le agenzie di rating – Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch – hanno più volte lanciato moniti all’Amministrazione Obama. Anche in caso di accordo sul debito, può scattare il declassamento del rating sovrano. L’America potrebbe perdere il suo vanto, la tripla A che da sempre contraddistingue il debitore di maggior credibilità. Comunque vada, una cosa è certa. Nel mondo post Lehman Brothers nemmeno Washington può sentirsi al sicuro.  

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