L’Italia non ha un problema di solvibilità, ma di liquidità. Nelle ultime settimane si sono sprecate le parole per definire cosa stava succedendo sui mercati finanziari italiani. Dagli economisti ai politici, tutti hanno parlato di «attacco speculativo» organizzato dai grandi fondi hedge nei confronti dell’Italia. La Consob, l’authority italiana di vigilanza finanziaria, ha compiuto un giro di vite sulla vendita allo scoperto, mentre le procure di Roma e Trani stanno indagando sui cali di Piazza Affari. La realtà, tuttavia, potrebbe essere ben diversa. Nessun complotto, nessun attacco, ma solo una concomitanza di cause.
Il blog finanziario del Financial Times, Alphaville, fa notare che sono stati diversi gli squilibri nei mercati secondari italiani. Da un lato abbiamo il sistema bancario, dall’altro le clearing house. Questi organismi, in Italia esiste la Cassa di compensazione e garanzia (CC&G), provvedono a controllare, verificare e regolare i rapporti fra le parti dopo la conclusione di una transazione finanziaria. Sono l’equivalente di una torre di controllo in aeroporto: calcolano i margini, i saldi e permettono il buon fine dell’operazione stessa. Tutto ciò che avviene nei mercati regolamentati passa attraverso di loro.
Da alcune settimane, in Italia qualcosa è cambiato. Il segmento dei pronti contro termine (repurchase agreement, o repo) è stato particolarmente frizzante per le banche italiane. L’European Repo council (Erc), l’organo comunitario che vigila su questi strumenti di rifinanziamento, ha evidenziato in un report dello scorso marzo che nel corso del 2009 e del 2010 un numero sempre maggiore di transazioni è stato regolato attraverso LCH.Clearnet, la clearing house internazionale, e non tramite la CC&G. Questo perché l’architettura della nostra camera di compensazione era considerata «non armonizzata» con quella internazionale. In particolare, per quanto riguarda i pronti contro termine, l’European Repo council ha sottolineato che in Italia gran parte delle transazioni inevase rimanevano pendenti per circa 10 giorni. Questo significa che chi decide di vendere allo scoperto dei titoli e poi non ha abbastanza margine, «può legittimamente rifare la stessa operazione per dieci giorni». Ogni transazione che non aveva i requisiti per essere conclusa, come nel caso di una mancanza dei margini o di istruzioni, sul sistema italiano restava per dieci giorni nel limbo, aumentando le esposizioni degli operatori, come le banche italiane.
Per ovviare a questo squilibri, molto simili a quelli presenti nel mercato greco, l’Erc ha chiesto all’Italia di porre una serie di modifiche. Attivate in due tranche nel corso del 2011, di cui la prima nel giugno scorso, servono a ottimizzare il mercato tramite la cancellazione immediata di tutte le transazioni inevase o incorrette. Queste riguardano principalmente il BI-rel, cioè il sistema di regolamento lordo in tempo reale. BI-rel è un’infrastruttura creata dalla Banca d’Italia ed è la parte italiana del sistema TARGET2 (Trans european real time gross settlement express transfer system), l’architettura europea che regola i pagamenti all’interno dell’eurozona. Ora che le transazioni vengono subito controllate ed evase, per un soggetto è facile rimanere a corto di soldi. Specie se di colpo passano dalla torre di controllo tutte quelle pendenti fino a dieci giorni prima dell’introduzione delle nuove norme.
Il problema maggiore delle banche italiane, quindi, è solo uno. «Non si riescono a reperire rifinanziamenti a breve, la liquidità è crollata di pari passo con l’aumentare dei timori sulla tenuta del Governo», spiega a Linkiesta un trader di NewEdge, società di brokeraggio nata da Calyon e Société Générale, dietro la promessa dell’anonimato. Ma la verità potrebbe essere un’altra. «L’introduzione del nuovo regolamento del BI-rel può aver fatto emergere perdite fino a quel tempo non inserite nei bilanci delle banche italiane: se queste avevano delle transazioni pendenti e di colpo si sono ritrovate con una grande mole di operazioni chiuse, hanno dovuto entrare nel mercato dei pronti contro termine», sottolinea il trader. Il problema è che non hanno trovato nessuno che gli prestasse denaro. E cosa succede quando viene a mancare la fiducia? «Partono gli ordini di vendita, perché non si sa quanto siano grossi i buchi da ripianare, ma si possono solo immaginare in base a quanto gli istituti di credito cercano di reperire tramite i repo», conclude l’uomo di NewEdge.
Secondo fonti di Borsa Italiana, lunedì scorso il blocco di «diversi strumenti» dei mercati Etf, SeDex e Mot, quello obbligazionario, sono imputabili a problemi di compensazione. E il motivo di questo stop può essere riconducibile alla nuova architettura di controllo delle operazioni. Per evitare un tracollo completo, Borsa Italiana potrebbe quindi aver preferito chiudere le negoziazioni fino al giorno dopo per permettere a CC&G di concludere tutto il clearing. Ma non solo. In tal modo, gli istituti avrebbero avuto il tempo di reperire finanziamenti a breve. In particolare, fra i 4.260 prodotti bloccati c’erano anche 700 obbligazioni, fra cui diversi titoli di Stato italiani. Secondo l’International finance review, pubblicazione della ThomsonReuters, durante l’ultima asta di Btp che ha visto raccogliere 4,96 miliardi di euro dal Tesoro, «si è verificata una riluttanza degli operatori a fornire liquidità attraverso il mercato Mts». Questo segmento di Piazza Affari, insieme al Mot, è uno dei due preposti alla negoziazione dei titoli di Stato, ed è stato oggetto di una forte scarsità di liquidità. Colpa dell’introduzione del nuovo sistema di regolamentazione delle transazioni, che ha affossato le banche italiane?
I dubbi, alla luce delle raccomandazioni dell’European Repo council, rimangono. Se un pool di istituti di credito è rimasto a corto di liquidità, hanno dovuto chiedere ad altri l’ammontare che credevano di avere. Tuttavia, in un clima d’incertezza generale sull’Italia, hanno trovato la porta sbarrata. Ecco quindi che si potrebbe spiegare l’aumento degli scambi, anche provenienti dall’Italia, avvenuti sulle piattaforme alternative come quella di Goldman Sachs, Sigma X. Alla disperata ricerca di denaro, le banche italiane hanno dovuto arrangiarsi come potevano, mentre gli altri operatori cercavano di evitare ulteriori perdite e i politici parlavano di speculazione.