L’Europa si può salvare solo con un “Piano Marshall”

L’Europa si può salvare solo con un “Piano Marshall”

La ragione dei movimenti speculativi che hanno interessato i titoli di stato italiani e non solo – gli spread sui titoli di stato francesi sono raddoppiati – risiede principalmente nell’incapacità dell’Europa di trovare una way out alla crisi dei cosiddetti paesi periferici. La confusione che regna sul nuovo salvataggio della Grecia e sulle modalità del coinvolgimento degli investitori privati ha giocato un evidente ruolo di innesco.

Quattro sono le strade per uscire da una crisi da indebitamento: restituzione del debito, default, crescita dei salari reali o inflazione.
Ad oggi la strategia europea è stata quella di concentrarsi sulla sola restituzione del debito. Escludendo con un atto di fede che questa strategia potesse fallire, si è giunti a una situazione molto vicina al default. Inoltre, mentre l’ipotesi di monetizzare il debito con un aumento del tasso di inflazione è esclusa dal mandato della BCE, nulla si è fatto per rilanciare i salari reali, ovvero la produttività e la competitività del sistema Europa nel suo insieme.
La ricetta finora individuata per la restituzione del debito è stata quella di coprire temporaneamente le necessità di rifinanziamento dei paesi in difficoltà con linee di credito – a tassi piuttosto elevati – garantite da sforzi draconiani di austerità e rigore, nella speranza che i singoli paesi possano ripristinare la fiducia dei mercati e quindi uscire dalla crisi con le proprie forze nell’arco di poco tempo.

Come questo possa succedere è lasciato al fato, o alla mano (più o meno) invisibile dell’economia od ancora ad una miscela varia di entrambi. Tale strategia però è destinata a fallire in quanto ignora importanti vincoli economici. Ignora in primis il fatto che la maggior parte dei paesi europei, dove si concentrano quasi 25 milioni di disoccupati e altri 25 milioni di sotto-occupati, continuano a viaggiare a tassi di crescita ampiamente al di sotto del loro potenziale e che finora è venuta a mancare una politica di bilancio europeo in grado di intervenire dal lato dell’offerta sui divari i produttività che si sono ampliati soprattutto nei paesi del sud europeo.  Con i livelli di indebitamento che attualmente gravano su Grecia (dove il debito è ormai prossimo al 160% del PIL), Portogallo (al 110%) e Irlanda (al 120%), con i tagli richiesti che impediscono ogni possibilità di creare investimento e crescita e con i tassi proibitivi imposti, questi paesi rischiano di essere spinti verso il default o la recessione, ampliando i divari già esistenti di reddito, opportunità e competitività.

Occorre un rapido e radicale cambiamento di strategia.
L’Europa finora ha posticipato una vera cura del problema. Ci si è limitati a “comprare tempo” senza però impiegarlo in qualcosa di effettivamente risolutivo e sostenibile, così si è sommato a vecchio debito nuovo debito e si è finito per accelerare la crisi, rendendo più probabile il default, allargando il contagio dalla periferia al cuore dell’Eurozona, e le potenziali ripercussioni sistemiche della crisi europea.
La exit strategy dell’Europa va dunque ribaltata. Bisogna affrontare seriamente la possibilità di insolvenza. Due sono le opzioni. Primo, i creditori privati dovrebbero pagare il costo della crisi attraverso una ristrutturazione ordinata del debito. Secondo, si potrebbe ridurre il debito in essere dei Paesi periferici in difficoltà e rendere il suo servizio tecnicamente possibile e sostenibile. In realtà gli eventi hanno precipitato la situazione ad un punto in cui entrambe le strategie sembrano rivelarsi necessarie congiuntamente. Un percorso potrebbe essere il seguente: l’Europa deve potenziare i Fondi di Stabilizzazione (EFSF e ESM), due strumenti virtualmente molto potenti per preservare la stabilità finanziaria, ma per ora soggetti a troppi vincoli dettati dagli interessi particolari e dalla mancanza di volontà dei governi nazionali di dotare le istituzioni europee dell’autonomia di manovra necessaria a trasformarli in un vera e propria Agenzia del debito europeo.

Di fronte ai problemi di insolvenza di Paesi come la Grecia, la ristrutturazione del debito appare inevitabile. Per organizzarla in maniera ordinata, questi Fondi, trasformati in Agenzia del debito europeo, devono poter operare per il ritiro (buy-back) dei titoli di stato outstanding a valori di mercato (oggi molto bassi). Una volta fatto, questi titoli potrebbero essere scambiati con obbligazioni di nuova emissione emesse alla pari dall’Agenzia stessa. Qui suggeriamo che la scadenza sia necessariamente lunga (per esempio a 20-30 anni) con cedola ragionevole (spread massimo sul 4%), pari ad un premio per il rischio intermedio tra investimenti in equity e in bond “industrial”.
Per consentire un allineamento degli incentivi verso una significativa riduzione dello stock di debito, evitando che gli oneri della ristrutturazione ricadano esclusivamente sui cittadini greci e sui detentori dei titoli (ossia, sulle banche europee), potrebbe essere immaginato un meccanismo tale per cui il prezzo di rimborso alla scadenza possa diminuire in funzione del raggiungimento di obiettivi di risanamento delle finanze pubbliche da parte del paese debitore. In tal senso si offrirebbe al mercato una opzione di partecipazione agli utili dell’operazione, percepiti “at inception” nel ritiro dei titoli a prezzi di mercato in cambio di emissioni garantite dalla UE. In questo modo, si eviterebbe non solo il default sui mercati, con tutte le relative conseguenze, ma si ridurrebbe anche l’impatto delle svalutazioni dei titoli sui bilanci degli intermediari (dato che l’opzione potrebbe comunque essere opportunamente valorizzata tra le attività) e quindi il potenziale rischio di un loro dissesto.

Per quei Paesi invece con debiti pubblici sostenibili ma sotto stress sul mercato per le operazioni di rifinanziamento, l’Agenzia del debito europeo deve poter operare come market maker of last resort, ovvero fare prezzo sul mercato primario e secondario e consentire quindi l’ordinato rifinanziamento di questi paesi a spread compatibili con i piani di rientro.
Per operare sotto questa duplice veste, l’Agenzia deve potersi finanziare sul mercato attraverso l’emissione di Eurobond con coperture congiunte dei paesi europei. In questo modo potrebbe raggiungere una capacità di fuoco ben superiore agli attuali 500 miliardi di euro della dotazione dell’EFSF/ESM. Occorre notare che simili cifre sono state effettivamente investite dalla FED con il “quantitative easing” e, in proporzioni analoghe rispetto all’economia, dalla BoE per il Regno Unito.
E’ imprescindibile infine approntare un forte ed equo bilanciamento fra le necessarie esigenze del rigore le politiche europee di sviluppo. La sostenibilità del debito è in funzione del combinato disposto di rigore e crescita economica. L’Europa, anche laddove riuscisse a creare solidi meccanismi di disciplina di bilancio, non esce dalla crisi se non appronta una strategia di bilancio volta a generare crescita competitiva e a ridurre i gap di produttività nei paesi periferici. Ci vuole il rigore (la Grecia deve essere in qualche maniera commissariata) ma ci vuole anche un “Piano Marshall” volto a far crescere le economie di questi Paesi al loro potenziale secondo le linee tracciate – purtroppo solo sulla carta – dall’agenda di Lisbona. La Germania ha saputo fare queste cose nel corso della sua riunificazione sfruttando proprio il suo inserimento nell’Europa unita.

Ora devono poterne beneficiare anche quei paesi che per entrare in Europa hanno dovuto rinunciare alle svalutazioni valutarie ed all’inflazione quali tradizionali strumenti di crescita competitiva e di rimborso implicito del debito.
Da questo punto di vista, spiace vedere come la BEI giochi un ruolo così marginale nel piano di salvataggio sulla Grecia, quando invece ci sarebbe un gran bisogno di rilanciare gli investimenti europei nei paesi periferici. Il rilancio della crescita dovrebbe essere la priorità delle istituzioni e della politica europea. Per esempio si potrebbe fare un uso più efficiente dei fondi strutturali che vengono già distribuiti a questi paesi ma che sono notoriamente sotto utilizzati e spesi male.

Per fare queste cose bisogna che si affermi una leadership europea forte, lungimirante e sufficientemente attenta all’interesse collettivo di medio termine. Sfortunatamente, l’egoismo e la miopia prevalgono. Paesi come la Germania, crescendo al pieno potenziale e avendo raggiunto un equilibrio di pressoché piena occupazione, sembrano sempre più considerarsi una piccola Cina e si trincerano nella difesa di interessi neo-mercantilisti quando dovrebbe essere evidente come un un’Unione europea, capace di uscire rafforzata dalla sua prima grande crisi, comporti vantaggi duraturi per la stabilità, la competitività e la salute finanziaria della stessa Germania. Allo stesso tempo, nei paesi debitori, la classe dirigente continua a resistere al cambiamento e alle riforme di struttura con altrettanta miopia e per egoistico calcolo politico, legata a scadenze elettorali pressanti. Assenza di leadership e miopia politica sono i veri fattori che rischiano di affondare l’Europa e per questi purtroppo non esiste alcun meccanismo finanziario in grado di correggerli.

*Stefano Firpo Ha ottenuto la specializzazione post lauream presso la London School of Economics. Attualmente è dirigente del gruppo Intesa Sanpaolo. Ha lavorato presso la Banca Centrale Europea a Francoforte. Renato Maino Si è specializzato all’Insead di Parigi ed è stato responsabile di Risk Capital & Policies presso la Direzione Centrale Risk Management del gruppo Intesa Sanpaolo. Insegna Credit Risk Management all’Università Bocconi di Milano.

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