«L’Expo è come il Ponte di Messina: un’entità dai contorni indefiniti. Esiste? Qualcuno ne sa qualcosa?». All’altro capo del telefono c’è Massimiliano Fuksas, grande nome dell’architettura made in Italy, che molto ha lavorato all’estero (ha progetti in America, in Cina, e lavora in Francia, in Germania, in Nigeria). Padre della Fiera di Rho-Pero, inaugurata nel 2005. Ieri l’amministratore delegato di Expo, Giuseppe Sala, ha “liquidato” quella consulta di archistar che, nel 2009, erano state precettate dalla vecchia giunta per disegnare il masterplan per l’Expo. Tra questi, nel team iniziale, c’era Stefano Boeri, poi sceso in politica e oggi assessore alla cultura della Giunta Pisapia. Il contratto di Jacques Herzog e Ricky Burdett (l’altro era William McDonoug) non verrà confermato. «Ora siamo nella fase realizzativa e quindi il progetto è nelle nostre mani», spiega l’amministratore delegato. «È un modo per responsabilizzarci», ha aggiunto. I grandi nomi esteri, insomma, possono tornare a casa.
Fuksas, che ne pensa? «Cos’ha prodotto Expo? Ha prodotto qualcosa? Boeri ha prodotto un assessorato. Diciamo che il progetto del suo orto planetario non è una cosa che sconvolge il mondo. Abbiamo cose più importanti di cui occuparci: una profonda crisi economica che investe gli Stati Uniti, l’Europa in panne, per non parlare dell’Italia…».
Ma ha sentito il segretario del Bie, Vincente Loscertales, nella recente visita a Milano per Expo? Ha utilizzato una metafora piuttosto dura, dando un taglio netto alle polemiche montate, dentro e fuori la giunta, sul vecchio progetto dell’attuale Assessore alla Cultura Stefano Boeri: «Non possiamo pensare che 150 mila visitatori vengano ogni giorno a Milano per vedere come si coltivano le melanzane del Togo, con una serie infinita di orti».
«Se il problema sono le melanzane – risponde l’architetto – bisognerebbe mettere anche la mozzarella per fare la parmigiana». Battute da cucina a parte, chiediamo un giudizio sull’orto planetario del vecchio dossier per il masterplan dell’evento. Fuksas si fa serio: «Credo che la situazione dell’area metropolitana milanese sia estremamente più complessa della questione degli orti e del recupero dei casali. Stiamo parlando di una densità di popolazione che va ben oltre il milione e mezzo di abitanti della città di Milano. Ci vuole un progetto avveneristico per comprendere quale sarà la città del futuro».
E il balletto infinito sui terreni, che occupa polemiche e pagine dei giornali da due anni a questa parte? «È semplice: la procedura che si adotta in questi casi – la stessa che noi abbiamo applicato per i lavori della nuova fiera di Rho – è stata quella di acquistare i terreni, bonificare l’area e costruire. Tutto questo, dopo aver vinto regolarmente un concorso, come si fa all’estero e quasi in ogni parte del mondo».
«Le risulta che per la definizione del masterplan abbiano vinto un concorso?», prosegue. Quindi converge sul suggerimento del vecchio Assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli della giunta Moratti che ha più volte lanciato la stessa sollecitazione: nuovo progetto tramite bando internazionale? «Ma quale suggerimento! Questa è la legge. Ha presente la legge? La legge prescrive si vinca un concorso, mica si precetti l’amico degli amici. Si ricorda il caso G8, alla Maddalena? Le imprese le hanno chiamate Bertolaso e Balducci e la cricca di Anemone (l’imprenditore romano inquisito per associazione a delinquere) ha chiamato gli architetti: si sono visti i risultati».
Dunque, lei come la vede? C’è ancora tempo, a suo avviso, per avviare la macchina Expo con un valido progetto che sia capace di attirare non solo pubblico, ma anche investitori esteri? «Certamente che c’è tempo. Bandirei un concorso internazionale, indicando con precisione requisiti e interventi; poi, se si vuole, si possono pure mettere gli orti».