Barack Obama lo aveva promesso. Detto, fatto? Forse no. Nel 2009 il presidente degli Stati Uniti, nel pieno della crisi subprime, aveva attaccato sprezzante i banchieri di Wall Street. «Rivogliamo il nostro denaro e ce lo riprenderemo. Se le banche sono sane abbastanza per pagare maxi bonus, allora lo sono anche abbastanza per risarcire i contribuenti», aveva affermato commentando l’ultima tornata di compensi milionari ai top manager. Oggi, due anni dopo e con una riforma finanziaria voluta e approvata, il quadro non sembra così ottimistico come lo dipinge Washington. Certo, aumentano i risarcimenti ai contribuenti da parte delle banche, ma il vero giro di vite, per ora, non si è visto. Nel 235esimo Independence Day, Main Street non è mai stata così lontana da Wall Street.
Goldman Sachs, J.P. Morgan, Bank of America/Merrill Lynch, Morgan Stanley: le regine del Financial district di New York continuano a essere nel mirino di Capitol Hill. Sebbene la riforma finanziaria sia stata meno dura del previsto, continuano a fioccare le sanzioni. Anzi, a essere precisi, non si fermano i casi di patteggiamento fra le banche e i regolatori. La più celebre è stata la creatura di Lloyd Blankfein. Per il suo prodotto Abacus 2007-AC1, Goldman Sachs decise di accordarsi con la Securities and exchange commission (Sec), l’authority di vigilanza sulla Borsa negli Usa. Dietro al pagamento di circa 550 milioni di dollari, Goldman Sachs ha evitato che il gioco finisse peggio. Il prodotto incriminato era un Collateralized debt obligation (Cdo), un’obbligazione contenente mutui cartolarizzati. Il Cdo agisce in modo particolare: ci sono diverse tranche, in base alla rischiosità dei prodotti inseriti, e ognuna di esse riceve denaro tramite in flussi dei mutui stessi, che poi costituisce la fonte di ritorno economico del sottoscrittore. Chiaro è che se il mutuatario smette di pagare, alla fine anche al Cdo non arriva più liquidità.
Abacus era un Cdo sintetico, basato su altri derivati, ed è stato creato insieme con il fondo hedge di John Paulson, uno dei maggiori a livello globale. Gira e rigira, i mutui subprime erano alla base della piramide. E come nel più classico degli Schemi Ponzi, solo in pochi riuscivano a godere a pieno dei profitti del fondo. «Una frode, quando è tale, non ha bisogno di essere spiegata, si vede a occhio nudo», disse la relazione della Sec a riguardo. Tuttavia, sul banco degli imputati è finito solamente Fabrice Tourre, il gestore del fondo stesso. Abacus sarà ricordato per due fattori su tutti: i 15 milioni di dollari pagati da Paulson per aver il privilegio di strutturare il Cdo e la data in cui questo è stato chiuso per via delle troppe perdite, 26 aprile 2007, un anno dopo la sua nascita.
Uno degli ultimi casi è invece quello di J.P. Morgan. La banca di Jamie Dimon, considerato il portavoce delle Big firm di Wall Street, ha dovuto risarcire 154 milioni di dollari agli investitori del suo fondo Squared. Come per Abacus, anche quello di J.P. Morgan è stato costruito ad hoc insieme a Magnetar Capital, un hedge fund che poi ha avuto l’accortezza di scommettere contro lo stesso Squared. Ma il colosso di Dimon, il secondo negli Usa, era stato chiamato in causa anche per un altro prodotto, Tahoma 1, anch’esso rivelatosi una fregatura per i sottoscrittori.
A entrare pienamente nella storia delle frodi più grandi è Bank of America/Merrill Lynch. L’istituto di credito, fondato da Amadeo Giannini sulle ceneri della Bank of Italy un decennio prima della Seconda guerra mondial, ha chiuso pochi giorni fa una brutta storia con il regolatore. La banca di Brian Moynihan ha patteggiato per il pagamento di 8,5 miliardi di dollari a tutti i sottoscrittori dei prodotti legati ai mutui subprime venduti da Countrywide financial, una delle prime vittime della crisi, accorpata poi da BofA nel 2008. «Vogliamo chiudere tutte le questioni dei subprime», ha detto Moynihan. Per lui, l’accordo con le autorità era l’unica soluzione. Di fronte aveva colossi come BlackRock, Pimco, più la Federal Reserve di New York. Tutti avevano comprato quote dei fondi di Countrywide e tutti sono rimasti scottati.
Nonostante questo maxi risarcimento, per Bank of America la gogna non è ancora terminata. Il procuratore generale dello Stato di New York, Eric Schneiderman, ha appena convocato in giudizio la banca di Charlotte per una serie di asimmetrie informative perpetrate negli ultimi anni. Per questo caso BofA ha già patteggiato un risarcimento da 150 milioni di dollari, ma secondo Schneiderman sotto sotto c’è di più. Nelle prossime settimane si saprà quanto grosso è il buco creato dai subprime nella prima banca commerciale degli Stati Uniti, che ha ipotizzato sia complessivamente di 20 miliardi di dollari.
Non è immune alla girandola di citazioni in giudizio anche Morgan Stanley. Il suo caso, sempre per un Cdo tossico di nome Libertas, è stato fra i primi. Nel dicembre 2009 un fondo pensione delle Isole Vergini chiamò in tribunale i vertici di Morgan Stanley con l’accusa di aver volutamente nascosto alcune clausole di Libertas, un prodotto finanziario da 1,2 miliardi di dollari. Secondo l’accusa, la banca newyorkese ha incorporato nel Cdo svariate tranche di titoli di New century financial, fallita poco dopo l’emissione dello strumento. Il tutto con buona pace dei sottoscrittori.
Da un lato, l’eredità dei subprime. Dall’altro, il nuovo assetto di regole per la finanza. In mezzo, due aspetti: i contribuenti, che stanno ancora pagando i piani di salvataggio dei giganti bancari, e l’economia statunitense. Quest’ultima è la grande incognita per il futuro. America vuol dire Wall Street e Wall Street vuol dire banche. Senza di esse, l’America non è così forte. Obama ne è consapevole e forse è proprio per questa ragione che il suo giro di vite sulla finanza è stato, tutto sommato, leggero. Uno dei punti più ostici per i banker è stato cancellato o quasi. Si tratta della Volcker Rule, ovvero la divisione fra attività bancarie tradizionali e d’investimento come prevedeva il Glass-Steagall Act del 1933, revisionato completamente dal Gramm-Leach-Bliley Act del 1999. Nel Dodd-Frank Act del luglio di un anno fa, la Volcker Rule non faceva capolino come l’ex governatore della Federal Reserve la intendeva. Inoltre, più che creare una serie di agenzie di vigilanza e controllo, la riforma di Wall Street non apporta particolari modifiche all’assetto bancario statunitense. In molti l’hanno definita una legge «bizantina», come ProPublica o Forbes, per via delle troppe contraddizioni interne. «È una manna dal cielo per i lobbisti», scrive il sito premiato con il Pulitzer. Non è difficile credergli. Nella giungla di nuove norme, oltre 380, e agenzie federali, oltre 20, il Dodd-Frank Act ha avuto un solo beneficio: aumentare il lavoro dei lobbisti.
Alla base di tutti ci sono loro, i mutui subprime. Warren Buffett li definì «armi finanziarie di distruzioni di massa». Richard Fuld, il numero uno di Lehman Brothers, scrisse, in uno scambio di email col suo management, che «quando la carne è fresca, tutti ne vogliono un pezzo. Prendiamoci la nostra fetta di subprime prima degli altri». Per gli afroamericani o ispanici emigrati in America, erano la realizzazione di un sogno, quello della casa. Per la Federal Reserve, una manna dal cielo, tanto da invogliarne la diffusione. Il destino però aveva in serbo un altro finale per «il prodotto più innovativo dell’ultimo decennio», come li aveva definiti David Kellerman, direttore finanziario di Freddie Mac, con Fannie Mae una delle due agenzie governative che controllano la maggior parte del mercato dei mutui Usa. Kellerman si suicidò nell’aprile 2009, ma i subprime continuarono a creare danni nei portafogli delle banche.
Ora, per molti istituti di credito, è giunto il conto. E dato che è troppo salato, meglio patteggiare. Meglio accordarsi per non fare rumore, per limitare le perdite. Il vero sconfitto, tuttavia, resta Capitol Hill. Nella primavera del 2007 c’era la prima vittima dei subprime, quella Countrywide financial che ancora oggi sputa tossicità nei venefici bilanci di Bank of America. Oggi i mutui continuano a produrre veleni e di soluzioni nemmeno l’ombra. Wolfgang Goethe scriveva che «la soluzione di ogni problema è un altro problema». Un aforisma che si allinea perfettamente al rapporto che oggi c’è tra Wall Street, i subprime e Washington.