«Un miracolo» che non basta a Piazza Affari

«Un miracolo» che non basta a Piazza Affari

Un miracolo che non è bastato. Nonostante il via libera del Senato alla manovra da 80 miliardi di euro, così definito da Giorgio Napolitano, Piazza Affari ha chiuso le contrattazioni odierne in territorio negativo, a meno 1,07 per cento, in una seduta dove gli occhi degli investitori erano puntati sull’asta di Btp con scadenza a 5 e 15 anni, test cruciale per capire il mordente dell’effetto contagio. Sono stati collocati 4,96 miliardi di euro con tassi d’interesse in salita, che sfiorano il 5% sulla scadenza al 2016 (all’ultima asta, il 14 giugno scorso, era al 3,9%) e il 6% per i quindicennali, con un differenziale di rendimento con il bund tedesco che risale a 300 punti base a ridosso dell’asta per poi ritornare ai livelli di ieri, sui 290 punti base. I rendimenti rimangono dunque su livelli record, e alcuni operatori hanno stimato in un miliardo di euro l’anno gli interessi complessivi che lo Stato dovrà corrispondere se i tassi non scenderanno. I Cds – derivati che proteggono dal rischio di default di un’emittente – sui bond quinquennali sono moderatamente risaliti a 288 punti base, secondo i dati diffusi da Markit. Ciò significa che per assicurare 10 milioni di euro di bond a scadenza 2016 gli investitori devono pagare 288mila euro l’anno.

Male i bancari, da Ubi a Intesa Sanpaolo, da UniCredit a Mps, per via della larga fetta del debito italiano, circa il 40%, detenuta dagli istituti domestici e sottoscritta dai risparmiatori. Pesanti anche le altre piazze europee (Ftse 100 -1,01%, Dax 30 -0,73%, Cac 40 -1,11%), non solo per via dell’Italia: il declassamento del debito irlandese a «spazzatura» da parte di Moody’s e il nuovo aggiornamento a lunedì dei negoziati sulla partecipazione dei privati al rollover del debito greco (declassato ieri un gradino sopra il “default” da Fitch) hanno spinto gli investitori a vendere come nei giorni scorsi. Nel pomeriggio, con una certa dose di ironia, il ministro delle Finanze ellenico Evangelos Venizelos ha affermato: «l‘intero ammontare del debito pubblico greco è di 355 miliardi di euro, che corrisponde alle emissioni obbligazionarie italiane in un anno, quindi parliamo d’altro». 

Da oltreoceano – per seguire il consiglio di Venizelos – non sono arrivate notizie particolarmente positive, anzi. Nella serata di ieri sempre Moody’s ha posto sotto osservazione per un possibile declassamento il debito degli Usa, per via dell’impasse al Congresso sul via libera all’innalzamento del tetto al debito, da approvare entro il 2 agosto, quindi a brevissimo. A metà pomeriggio, ora italiana, il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha sottolineato che i conti pubblici italiano sono molto migliori di quelli greci e che gli istituti di credito nazionali sono «in piena forma» grazie alla recente ondata di ricapitalizzazioni targata Mario Draghi.

L’evolversi situazione italiana è seguito con apprensione soprattutto a Parigi. Oggi parlando in Senato prima delle intenzioni di voto Tremonti ha ripreso l’idea di Sarkozy, in discussione in questi giorni al Parlamento francese, di una “golden rule” da inserire nella Costituzione sul pareggio di bilancio. Gli istituti di credito transalpini, secondo i dati della Bis, la Banca dei regolamenti internazionali, avrebbero un’esposizione sull’Italia pari a 392.6 miliardi di euro a fine 2010, con Bnp – che controlla Bnl – e Credit Agricole in pole position. 

Domani sono attesi i risultati degli stress test condotti dall’Eba, la neonata autorità di vigilanza bancaria europea. Un altro test per capire se il mercato ha già ampiamente scontato i loro risultati o se gli investitori considereranno la loro pubblicazione l’ennesima occasione per approfittare delle incertezze in cui versa l’Europa.  

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