«Mi si chiede se il settore del turismo può fare da traino per l’economia italiana? Rispondo con una cifra: se prendiamo anche l’indotto, l’industria del turismo pesa sul Pil per il 9,4 per cento. Nel 2020 la percentuale potrebbe salire, a certe condizioni, al 18,2 per cento. Non mi pare poco. Che ne dice? Attenzione però: siamo la quinta potenza turistica mondiale ma siamo al diciottesimo posto per attrattività. Questo è uno gigantesco scoglio che non possiamo permetterci di trascurare».
Nel corso della conversazione Franco Iseppi, presidente del Touring Club Italiano, usa spesso il termine “visione” e si capisce dopo poche battute che sei di fronte a un personaggio per il quale la comunicazione è pane per i suoi denti. E non a caso. Prima di intraprendere l’avventura del Touring Club, è stato uno dei grandi soloni dei media italiani, fino a diventare direttore generale della Rai negli anni che vanno da 1996 al 1998. Una delle aziende italiane più difficili da gestire. Risiede a Roma, insegna Teorie e Tecniche di comunicazione dei media nella Facoltà di Ingegneria del Cinema e dei Media del Politecnico di Torino. Dal 1998 al 2003 è stato Presidente della Sipra. Dal 1998 al 2002 è stato anche responsabile dei rapporti tra la Rai e il Vaticano per il Grande Giubileo del 2000. «Quello che è sicuro è che il è che il turismo è una delle ricchezze del nostro paese».
Riusciamo a fornire delle cifre?
«È necessario fare una distinzione: se si guarda al turismo come beni e servizi è una cosa, se lo si guarda nel suo complesso, come economia del turismo comprensivo dell’indotto, è un’altra cosa. Nel primo caso parliamo di oltre 60 miliardi di giro d’affari con un peso sul Pil che si aggira attorno al 3,9 per cento. Se invece, come le dicevo, consideriamo il complesso dell’economia del turismo arriviamo alla cifra di 147 miliardi, una percentuale sul Pil che sale a 9,4 per cento. Sono questi i valori. Nel settore allargato gli occupati arrivano a 2 milioni e mezzo».
Qualcuno ha osservato che il turismo incoming può essere paragonato all’export. Lei è d’accordo?
«Sì, direi che il paragone regge. E anche qui ci sono delle cifre: la spesa per il turismo di natura estera ha subito una perdita del 7% dopo il 2009 ma l’export italiano è calato del 21 per cento. Dunque non siamo andati così male. Il settore del turismo è talmente importante che è stato fatto un piano nazionale organico con scenari interessanti: si prevede per il 2020 una crescita dell’economia del turismo dagli attuali 147 miliardi ai 320 miliardi con un peso sul Pil del 18,2% e una aumento dell’occupazione fino a 4,3 milioni».
Costa Volpino, isola di Lampedusa
Immagino però che il cahier de doléances per realizzare questi ambiziosi obiettivi sia lungo.
«Lungo e impegnativo. Riforma strutturale del sistema: infrastrutture, trasporti, alberghi; allungamento della stagionalità; superamento del divario nord sud anche per ciò che riguarda il turismo; sviluppo dei mercati internazionali. È ovvio che per realizzare questi obiettivi è necessario avere una visione del sistema e superare alcuni ostacoli».
Per esempio?
«Vuole un dato clamoroso a proposito degli squilibri territoriali? Se si analizzano i dati si scopre che oggi sui 370 milioni di presenze sul territorio si registra è un incremento del 40% di stranieri. Lei ci crede se le dico che soltanto un quarto va al sud?».
Un dato singolare se si pensa a come è fatta l’Italia e alle potenzialità turistiche del centro-sud rispetto al nord.
«Appunto. Eppure dei 28/29 miliardi di euro che escono da quelle presenze soltanto 3,7 vanno al sud. Qual è il problema? Uno dei più importanti è la mobilità, l’accessibilità. Siamo la quinta potenza turistica mondiale ma questi dati ci dicono che il turismo potrebbe diventare un’occasione mancata. Viviamo di una rendita di posizione, siamo viziati grazie alle nostre bellezze naturali e artistiche ma non ci rendiamo conto che abbiamo spremuto fino all’osso il nostro patrimonio. Manca ad esempio un modello di governance. È vero che il nostro paese è fatto di tante regioni ma se non c’è una concertazione si fanno piccole repubbliche ognuna per sé e il patrimonio va disperso. Sa cosa è mancata? Una visione nazionale».
Il Touring Club non potrebbe ambire a diventare l’Authority del turismo?
«Quella è un’ambizione mai sopita. Ma accanto a questa immagine gliene voglio fornire un’altra: il Touring deve diventare la guida per la comunità dei viaggiatori. Un protagonista, un soggetto di indirizzo e controllo, che ha come missione quella di diventare punto di riferimento morale e culturale del turismo. Assieme a ciò dobbiamo fare una grande rivoluzione interna: accanto al cartaceo non possiamo più rinviare una rivoluzione tecnologica costruendo un vero portale del turismo».