Wall Street vede nero e sta perdendo la pazienza. I tre indici principali – Dow Jones, S&P 500, Nasdaq – hanno archiviato la giornata in pesante perdita. Tutta colpa dell’accordo sul debt ceiling che tarda ad arrivare. Che sia una mera questione politica, è fuori discussione. Che Washington stia giocando con il fuoco, pure. Le agenzie di rating oggi non hanno scosso l’universo finanziario più degli altri giorni, ma la partita non è ancora finita. Il downgrade può arrivare e può destabilizzare ben più che un default tecnico.
Dow Jones -1,59%, Standard & Poor’s 500 -2,03%, Nasdaq -2,65%: il bollettino di Wall Street è tutto in rosso. Mentre il presidente statunitense Barack Obama e il corrispettivo della Camera John Boehner non riescono a trovare un accordo sull’innalzamento del tetto del debito federale, sui mercati finanziari si scatena l’avversione al rischio. SUl Dow Jones sono andati giù i titoli finanziari, come American Express (-2,11%) e Bank of America (-3,20%), ma anche tutte le Corporate America, come General Electric (-2,42), Microsoft (-2,67%), Caterpillar (-3,67%) e Cisco (-3,68%). Forti le contrazioni per le big firm bancarie di Wall Street, colpite dalle vendite. Goldman Sachs ha chiuso in rosso del 2,09%, J.P. Morgan del 1,86% e Wells Fargo dell’1,35%. Maglia nera per due colossi finanziari: Citigroup, in calo del 3,64% e Morgan Stanley, che ha chiuso la seduta con una contrazione del 3,96 per cento.
Il nervosismo sta continuando e per la prima volta si è fatto sentire con forza a Wall Street. L’impasse fra democratici e repubblicani sulla questione del debito è percepita dai mercati finanziari come una prova di debolezza del presidente Obama. Inoltre, il Tesoro ha ricordato che il debt ceiling «deve essere innalzato entro il 2 agosto, senza proroghe», sennò sarà default tecnico. Va da sé che, in caso di crescente incertezza, si preferisce allocare le proprie risorse in altro modo. L’oro, infatti, ha continuato il suo rally, toccando un massimo di 1.629 dollari l’oncia durante la seduta odierna. Parallelamente, è volato l’indice Vix, che registra la volatilità del mercato. In poche ore il Vix è salito del 13,6%, fino a toccare quota 22,98. Si tratta di livelli assolutamente non paragonabili a quelli successivi alla bancarotta di Lehman Brothers, quando il Vix era 80, ma è stato un incremento notevole.
Un segno dello stress arriva dai money market fund, i fondi del mercato monetario. Dopo aver chiuso il 40% delle posizioni aperte sull’Europa, hanno cominciato ad aumentare la liquidità negli Usa. In altre parole, si stanno preparando al peggio, ovvero al worst case scenario che tutti stanno cercando di evitare. È facile dire che un declassamento della tripla A statunitense sarà l’equivalente di un Armageddon. C’è di più. Oggi la banca giapponese Nomura, sempre molto equilibrata nei giudizi, ha detto che «un downgrade americano potrebbe causare un congelamento del mercato dei repurchase agreement (pronti contro termine, ndr)». In altre parole, gli istituti di credito potrebbero trovarsi con il mercato interbancario bloccato e in carenza di liquidità. Lo stesso scenario verificatosi dopo il crac di Lehman Brothers.
A cercare di placare l’animo degli investitori ci ha provato Fitch. L’agenzia di rating, in una nota uscita a mercati aperti, ha affermato che «i Treasury (le obbligazioni statunitensi, ndr) rimarranno in ogni caso il benchmark globale di solidità». Parole che però non sono servite a migliorare una giornata di Borsa da dimenticare per Wall Street. Il peggio, infatti, doveva ancora arrivare.
All’ennesimo stallo delle trattative fra Obama e Boehner, i mercati sono stati invasi dagli ordini di vendita. E mentre lo S&P 500 si scendeva per un istante sotto la soglia psicologica dei 1.300 punti, il prezzo dei Credit default swap (Cds) continuava a salire. Per la prima volta il costo di assicurarsi contro il fallimento Usa è arrivato a quota 85 punti base sul bond annuale e 63 sul quinquennale, entrambi sulla piattaforma Markit. Come se non bastasse l’International swap and derivatives association (Isda), la depositaria mondiale del mercato dei Cds, ha specificato che, in caso di dichiarazione d’insolvenza americana, scatterebbe il pagamento dei derivati in questione. «Ci saranno tre giorni di grazia, entro i quali gli Usa potranno dimostrare di essere solventi, poi scatterà la procedura di credit event e, di conseguenza, il trigger sui Cds», ha detto Steve Kennedy, portavoce dell’Isda. Nemmeno la Grecia, pochi giorni fa, era stata trattata in questo modo.