NAPOLI – Quando Andrea Orlando, il ligure commissario del Partito democratico di Napoli arrivato per ricomporre dal disastro delle primarie il Pd partenopeo, è entrato nella sala e si è seduto, ha guardato alla sua sinistra e ha sorriso. In prima linea, proprio parallelo a lui, c’era una persona che nel partito non ha bisogno nemmeno di far conoscere il suo cognome: Nanà. La pasionaria di Secondigliano, la signora delle tessere della periferia Nord della città, la fedelissima di Antonio Bassolino prima e di Andrea Cozzolino oggi.
Il Pd napoletano è tutto in questa istantanea: da una parte l’inviato da Roma nel caos partenopeo, una sorta di capitano Bellodi di sciasciana memoria, dall’altra gli eterodiretti del successore di don Antonio, quel Cozzolino il cui nome è legato, oggi, al pastrocchio delle primarie napoletane per le Amministrative e allo schiaffo che Luigi de Magistris ha impresso sul volto del partito che per due decenni ha dettato legge all’ombra del Vesuvio. Ma al momento a Napoli l’unico con una struttura di raccolta del consenso, in un partito sgarrupato perfino nell’organizzazione giovanile: pure i Giovani Democratici partenopei sono commissariati.
Ma torniamo alla sala. Orlando e Nanà dove sono seduti, una affianco dell’altro? Di cosa si discute? Di un Grande Addio, dicono i nostalgici, ovvero lo scioglimento della corrente bassoliniana e la sua conversione in corrente cozzoliniana. Questo però l’hanno detto i nostalgici. Gli scettici hanno parlato invece di un Grande Trucco. Di un’operazione di revamping politico. «I bassoliniani non tirano più e così si prova coi cozzoliniani». In definitiva: Andrea Cozzolino, l’europarlamentare pupillo dell’ex governatore della Campania, mette la bandiera sul terreno che fu di Bassolino. Dietro di lui, una parte di coloro che con don Antonio governarono il partito, la città, la provincia, la regione. Ma guai a dirlo: non è «una corrente, non è il momento delle correnti, siamo tutti dentro al partito».
Un gesto suggella l’annuncio: Cozzolino trasloca. Finora il suo ufficio politico condivideva gli spazi nella “Fondazione Sudd”, quella di Bassolino e dei suoi fedelissimi. Ma fra qualche settimana il delfino farà fagotto e lascerà solo l’ex sindaco di Napoli. «Voglio una stanzulella nella sede provinciale del partito» afferma. Gli spazi fisici fanno parte della politica: se l’europarlamentare si sposta da Casa Bassolino e torna alla «casa madre» non lo fa certo come il figliol prodigo, ma come aspirante padrone di casa in un prossimo congresso regionale.
Qualcuno sostiene che la “Fondazione Sudd” entro dicembre chiuderà i battenti. Il direttore della struttura, Diego Belliazzi, smentisce, ma le voci di dentro sono molto circostanziate: alcuni fedelissimi sono usciti dal consiglio d’amministrazione della fondazione e si organizzano sempre meno iniziative. Se così fosse, sarebbe praticamente l’addio di don Antonio a quella politica del «partito personale» teorizzata dal suo spin doctor Mauro Calise. E forse un nuovo inizio, da qualche altra parte.
Del resto, di luoghi fisici targati Pd all’interno dei quali discutere ce ne sono sempre meno. I circoli di partito stanno pian piano chiudendo nel silenzio generale: al Vomero, lì dove il “sindaco arancione” ha fatto man bassa di voti, il partito non è presente. E sta facendo fagotto perfino da Barra, quartiere che con San Giovanni e Ponticelli rappresenta quel triangolo rosso che nell’ultima disastrosa consultazione comunale ha comunque garantito l’elezione degli unici quattro consiglieri comunali piddì.
Già, il Comune: è proprio quello che unisce e divide le varie correnti nei Democrat napoletani. Lì il Pd da quando c’è de Magistris è praticamente sparito. Dal consiglio comunale, dove i quattro gatti eletti litigano tra di loro, fra i colletti bianchi, defenestrati in un batter d’occhio appena la nuova maggioranza ha messo piede a Palazzo. Cozzolino propone una cura d’urto: mostrare alla città che un uomo solo al comando non funziona. Mostrarlo perfino a Italia dei Valori che mal digerisce gli imperativi di “Giggino”. Per questo ha incaricato un gruppo di studenti di Scienze Politiche di fare le pulci all’Amministrazione nei suoi primi 100 giorni. A quanto apprende Linkiesta il lavoro ha già un filo comune messo nero su bianco: «de Magistris è uomo mediatico non è un uomo politico, ha marginalizzato la discussione e la condivisione politica dei problemi. E per gli staff ha speso in proporzione più di Rosa Russo Iervolino».
Andrea Orlando (dunque Roma) e la direzione regionale del partito invece hanno un’altra ricetta. Anzitutto espiare le colpe di un partito che tanto ha governato e troppo ha sbagliato, per questo star zitti almeno fino a settembre. «De Magistris non deve più manlevare Stefano Caldoro dalle sue responsabilità, in particolare da quelle sui rifiuti» dice il commissario provinciale. Significa che da settembre il sindaco deve smetterla di fare l’uomo solo al comando, ringalluzzendo il governatore regionale che ha trovato nel primo cittadino un insperato alleato.
Nel frattempo, la ricostruzione del Partito democratico napoletano è però lenta, forse troppo. In un documento il responsabile dell’ufficio studi del partito regionale, Michele Caiazzo, ha analizzato i numeri e i contesti che hanno portato al disastro delle Amministrative. Una domanda spicca, su tutte: «A Napoli c’è ancora bisogno del Partito Democratico?». Il laboratorio partenopeo in fondo è proprio questo: dall’ombra del Vesuvio si capirà a breve se il Pd è davvero polverizzato e piegato dalle correnti e dunque superato da nuove forze trasversali come quelle di de Magistris a Napoli e Giuliano Pisapia a Milano. O se c’è ancora speranza.