A Pescara c’era un porto, ma ora è pieno di terra

A Pescara c’era un porto, ma ora è pieno di terra

“Ricordate la storia di Leptis Magna? Era la città più fiorente del nord Africa, ma dopo che i romani decisero di mettere mano al porto finì insabbiata, e così iniziò il suo declino. Oggi Pescara rischia seriamente di fare la stessa fine”.

Il paragone è di Maurizio Acerbo, pescarese, ex parlamentare e attualmente consigliere comunale di Rifondazione Comunista. E per quanto possa apparire ardito per le dimensioni di Pescara e Leptis Magna, rischia di rivelarsi reale, però, nei fatti e nel concatenarsi degli eventi. Perché da qualche mese il porto della più grande città abruzzese è letteralmente paralizzato a causa degli “interrimenti” che in alcuni punti hanno ridotto il fondale a non più di una decina di centimetri. Nella zona dei trabocchi (le tradizionali palafitte utilizzate in tutto il basso adriatico per pescare) oggi c’è un’enorme spiaggia. La pesca, una delle storiche industrie locali, è in ginocchio, perché i le barche non riescono più a uscire in mare, visto che all’imbocco del porto commerciale il fondale non supera i sessanta centimetri. E anche le compagnie di navigazione se ne stanno andando, una ad una, per ripiegare su Ancona o su altri scali adriatici più funzionali.

Ma come si è arrivati alla situazione attuale? “Prima non era così – racconta Antonio Spina, ultimo discendente di una famiglia di pescatori pescaresi e memoria storica cittadina – Dal 1915, ossia da quando è stato creato il porto canale, ogni anno si effettuava il dragaggio dei fondali e venivano rimossi circa 20mila metri cubi per volta, o anche di più. E per un lungo periodo c’è stata anche una draga fissa. Invece negli ultimi anni sono state fatte solo manutenzioni saltuarie, due o tre ogni dieci anni, non sufficienti a garantire l’agibilità del porto”.

I veri problemi, però, sono nati con la realizzazione degli interventi per la realizzazione del nuovo porto. In particolar modo, a partire dal 1997, quando è stata completata la costruzione della diga foranea, un enorme mostro di cemento lungo 700 metri posto al largo delle punte dei moli, che doveva proteggere il porto dalle mareggiate. “Da quel momento – continua Spina – sono incominciati gli accumuli di sabbia che, aggiunti ai fanghi trasportati dal fiume Pescara, hanno progressivamente reso il porto inagibile. E con la banchina di levante, realizzata qualche anno più tardi, non si è fatto che peggiorare le cose”.

Una decina di anni fa, quando i lavori erano ancora in corso e già iniziavano a emergere i primi segnali del disastro attuale, alcuni cittadini pescaresi si riunirono in comitato. “Già allora – racconta Acerbo – si parlava di rischio insabbiamento, di danni alle attività commerciali della zona e di innalzamento dei livelli di inquinamento delle acque, e si chiedeva un’immediata revisione del progetto. Quegli appelli, tuttavia, rimasero inascoltati”.

I rischi allora solo paventati oggi sono divenuti realtà. E a farne le spese sono in tanti, a partire dai pescatori, che da mesi protestano con l’intento di attirare l’attenzione sulla propria drammatica condizione. Lo scorso 3 giugno la Capitaneria ha formalizzato la chiusura del porto commerciale, e i pescatori hanno ottenuto almeno il riconoscimento da parte della Regione del “de minimis”, una sorta di cassa integrazione che si protrarrà fino a quando il porto non tornerà agibile.

Altrettanto gravi sono i danni per i trasporti. A causa dell’inagibilità del porto, le compagnie stanno abbandonando Pescara. L’ultima in ordine di tempo è stata la Snav, che pure si era impegnata garantire un collegamento con la Croazia da fine luglio e per tutta la stagione estiva, ma che all’ultimo momento ha deciso di far partire i propri mezzi da Ortona, una trentina di chilometri più a sud. Sul proprio sito la stessa Snav precisa che “tale situazione si è venuta a creare per cause non imputabili alla compagnia, nonostante le numerose rassicurazioni ottenute circa la chiusura dei lavori di dragaggio in tempo utile per la partenza del 23 luglio”. Decisivo sarebbe stato un incidente avvenuto a pochi giorni dall’inizio della stagione turistica, quando un traghetto ha toccato il fondo durante una manovra di attracco, proprio a causa dei fondali bassi, riportando seri danni.

Nel complesso, secondo una stima della locale Confederazione nazionale dell’artigianato, il porto di Pescara ha perso in quattro anni più della metà dei propri passeggeri, passando da 45 mila a 23mila unità. La stessa Snav all’inizio della stagione estiva parlava di un calo di prenotazioni rispetto allo scorso anno sui collegamenti Pescara-Spalato pari al 25 per cento, spiegando che “l’insabbiamento del porto ha tenuto tutti in ansia e il turista, ovviamente, ha voluto cautelarsi scegliendo altre rotte e altri collegamenti”. Tanto che, negli ultimi giorni, la Confesercenti ha deciso di dare mandato ai propri legali per valutare la presenza degli estremi per una class-action a tutela delle imprese commerciali e turistiche della provincia danneggiate dal mancato dragaggio del porto.

Sullo sfondo del disastro pescarese si intravede il solido rimpallo di responsabilità politiche. Il Pd accusa di inerzia l’amministrazione comunale, guidata dal Pdl, che però respinge le accuse al mittente, parlando di “eredità del passato”, ovvero delle amministrazioni di centrosinistra.

Al momento il compito di sbrogliare la matassa spetta al presidente della Provincia Guerino Testa, nominato da poco più di un mese “commissario delegato per la realizzazione, in termini di somma urgenza, degli interventi da eseguirsi nell’area del porto di Pescara”. L’obiettivo minimo è quello del dragaggio per il quale sono stati già stanziati 2,5 milioni di euro. Lo stesso Testa ha annunciato che l’intervento durerà oltre un mese e non sarà avviato prima della metà di settembre, quando sarà conclusa la stagione balneare. E poi prima di avviare i lavori c’è da risolvere il problema dello sversamento dei fanghi, che prima venivano semplicemente gettati in mare, al largo della costa abruzzese, ma che adesso – dopo una serie di allarmanti analisi dell’Arta – si pensa di smaltire in impianti appositi.

In ogni caso, il dragaggio all’interno del porto non potrà che servire da pezza, in attesa di una soluzione duratura, che richiede interventi strutturali all’interno del porto. Allo scopo sarebbero già disponibili 20 milioni di euro, che secondo i comitati civici e associazioni sarebbero sufficienti per ripristinare la situazione precedente ai lavori degli anni novanta, e a soddisfare le esigenze di tutti gli utenti del porto.

Nel frattempo però si parla anche di un nuovo progetto faraonico, che costerebbe non meno di 140 milioni di euro. Contattato al telefono, il commissario Testa non conferma e non smentisce, limitandosi a dire che “bisognerà procedere in parallelo con il Prg portuale, che è fermo da diversi anni in Consiglio comunale, ma che adesso si dovrebbe sboccare”. La sola idea di un nuovo mega-intervento sul porto spaventa Spina. “La verità – commenta – è che Pescara non può avere un porto grande, come lo sono quelli di Civitavecchia o La Spezia. Si corre dietro ai grandi progetti mentre il nostro è un piccolo porto-canale, con fondali bassi e sabbiosi. Fino a quando non si capirà questo, le cose potranno solo peggiorare”.